Chi si cela davvero dietro all’attentato che ha sconvolto domenica scorsa Istanbul? Gli interrogativi sono molti ed è difficile trovare, almeno al momento, una risposta. Una prima ipotesi è che sia opera di elementi legati all’ala militare e terroristica del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, che dalla fine degli anni 70 è in guerra con i vari governi militari che si sono succeduti ad Ankara fino all’arrivo di Erdogan. Da sempre nella lista delle organizzazioni terroristiche americane, le cose sono cambiate quando il Pkk è sceso in campo contro l’Isis, di fatto facendo “il lavoro sporco” che gli Stati Uniti hanno svolto solo parzialmente in Siria. E proprio siriana è la donna che è stata arrestata come l’attentatrice di via Istiklal.
Ma Erdogan è una figura troppo ambigua, come si sa da tempo, e il suo doppio, anche triplo gioco – come ci ha detto in questa intervista Stefano Piazza, analista, esperto di sicurezza e terrorismo – con “un piede nella Nato e l’altro al Cremlino” potrebbe far pensare a un coinvolgimento americano.
È passato quasi inosservato il fermo rifiuto da parte turca di accettare le condoglianze delle autorità americane dopo l’attentato di Istanbul. Che idea si è fatto?
Osservando i fatti, almeno quei pochi che abbiamo a disposizione, vengono molti dubbi a proposito di quanto successo domenica.
Ad esempio?
Dopo l’esplosione, i media turchi hanno mostrato il volto di una donna vestita con il classico jihab in abiti neri, di evidente origine siriana, come poi annunciato. Si tratterebbe di Ahlam Albashir, che avrebbe confessato la propria appartenenza al Pkk e di essere entrata illegalmente in Turchia dalla regione di Afrin, nel nord della Siria.
Non è abbastanza per certificarne la colpevolezza?
No, perché immediatamente dopo è stato vietato a qualunque media di parlare della vicenda. In serata, invece, è comparso dal nulla un video con una musichetta di sottofondo nel quale viene arrestata una donna con un colore della pelle decisamente diverso da quello della donna mostrata nel pomeriggio. Ha una espressione stralunata che una persona del Pkk non dovrebbe avere. Chi fa questo genere di azioni è orgoglioso, consapevole dei suoi atti. Tutto questo lascia perplessi per le modalità poco chiare.
Erdogan si è mosso senza la Nato nella questione ucraina, non applica le sanzioni contro Mosca e conduce rapporti di mediazione sulla guerra senza prendere nessun contatto con l’America. Quanto una pista americana dietro l’attentato potrebbe essere realistica?
In Turchia con Erdogan può succedere tutto e il contrario di tutto, gli esempi non mancano. Ricordiamoci del caso Khashoggi, di quel colpo di Stato di cartone del 2016 di cui non si è mai saputo chi fossero i mandanti e gli organizzatori, se non il fatto che grazie ad esso il potere del presidente turco è aumentato drasticamente e l’opposizione è stata messa a tacere.
C’è però il gasdotto Turkish Stream che dovrebbe fornire gas direttamente all’Europa e che ha subìto recentemente un attacco. Mentre il sabotaggio di Nord Stream ha indubbiamente favorito gli Usa.
Dell’attentato che lei cita non esiste alcuna testimonianza, se non quanto dichiarato da Putin, senza però mostrare alcuna prova ed è riportato solo da siti filo-russi. La realtà è che Erdogan ha bisogno di due cose per conservare il proprio potere: il nemico interno e quello esterno. Il secondo talvolta è l’Unione Europea attraverso la questione dei migranti, altre volte sono gli Stati Uniti pur essendo la Turchia nella Nato, altre volte ancora la Germania o i nemici dell’islam. Erdogan, data la gravissima crisi economica del Paese, quando è in difficoltà sul fronte interno vuol far vedere al suo popolo che lui difende lo Stato contro tutti, inventandosi nemici a tavolino. Questo attentato potrebbe servire per aumentare il risentimento anti-siriano e anti-Pkk così da giustificare la sua operazione speciale nella zona controllata dai curdi in Siria e chiudere con loro l’annosa partita.
In Kurdistan però il controllo lo hanno gli americani e poi Erdogan, recentemente, in vista delle elezioni del prossimo anno, aveva aperto trattative con il partito filo-curdo Hdp. Un attentato di questo genere non rischia di compromettere questa apertura?
Proprio perché gli americani oggi hanno cambiato atteggiamento nei confronti dei curdi del Kurdistan fa sospettare che tutto sia opera di una mistificazione a uso interno. Erdogan i voti delle elezioni li trucca come vuole. Opera sempre secondo il suo cliché, si è inventato questa figura di mediatore, di uomo di pace, e utilizza tre narrazioni: quella nella quale protegge la Turchia dai terroristi, poi dagli americani e adesso quella di politico che assicura la pace nel mondo.
Quindi pensare che ci sia chi voglia farlo fuori proprio in vista delle prossime elezioni lo considera irrealistico?
Oggi Erdogan occupa un posto talmente delicato nello scenario internazionale che nessuno, secondo me, pensa a farlo cadere. Con la guerra in Ucraina in corso, con il suo rapporto con Putin che non si sa dove comincia e dove finisce, Erdogan è un problema per tutte le democrazie occidentali, che però devono conviverci.
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