Il padre di Saman Abbas è stato arrestato ieri in Pakistan per l’omicidio della figlia. A rivelare la svolta nel caso è stata la trasmissione Quarto Grado, secondo cui Shabbar Abbas è stato fermato dalla polizia distrettuale pakistana e dalla polizia federale nella zona del Punjab, in riscontro alla richiesta di arresto provvisorio ai fini dell’estradizione. L’uomo, che era solo, non ha opposto resistenza. Inizialmente si era diffusa la notizia che Shabbar Abbas fosse stato arrestato per una frode ad un connazionale di 20mila dollari circa, pari a 5 milioni di rupie pakistane, che quindi si stava lavorando tramite i canali diplomatici per valutare come notificargli il mandato di cattura internazionale emesso per l’omicidio della figlia.
Il padre di Saman Abbas era stato rinviato a giudizio a seguito delle indagini della procura di Reggio Emilia e dei carabinieri, in concorso con la moglie, che è ancora latitante, e altri tre parenti: i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq e lo zio Danish Hasnain, che è considerato l’esecutore materiale del delitto. Loro attualmente sono tutti in carcere in Italia.
SHABBAR ABBAS AVEVA PROVATO A FAR PERDERE LE SUE TRACCE
Shabbar Abbas era fuggito in Pakistan il primo maggio dell’anno scorso, il giorno dopo la scomparsa della figlia 18enne Saman, insieme alla moglie Nazia Shaheen, che risulta ancora a piede libero. In questi mesi si è rifugiato in patria, godendo della protezione di una fitta rete di parenti nella sua zona d’origine, dove si dice che avesse familiari nella criminalità organizzata locale. Stando a quanto riportato da Il Resto del Carlino, negli ultimi tempi, forse anche nella consapevolezza di essere braccato, avrebbe provato a far perdere le proprie tracce anche in patria, spostandosi dal compound che lo aveva protetto fino ad allora.
Il processo per l’omicidio della 18enne scomparsa da Novellara si aprirà in tribunale a Reggio Emilia il prossimo 10 febbraio. I genitori di Saman Abbas devono rispondere di concorso in sequestro di persona, omicidio e soppressione di cadavere, insieme allo zio della ragazza e ai cugini della stessa. Nei confronti dei genitori, l’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia aveva già firmato una richiesta di estradizione.