Lo aveva promesso e lo ha fatto. Con un record: nessuno prima d’ora si era candidato tanto presto, a due anni addirittura dall’appuntamento con le urne. La domanda, al di là degli slogan con cui si è presentato, che sono sembrati stantii (“Facciamo di nuovo grande l’America), è se Trump è ancora in grado di vincere e soprattutto se il suo partito è ancora disposto a sostenerlo come nel 2016 quando, anche se controvoglia, “The Donald” era l’unico candidato possibile in grado di riportare l’elefantino alla Casa Bianca.
La sua stella personale, come ci ha detto in questa intervista Massimo Gaggi, corrispondente dagli Usa per il Corriere della Sera, “sta tramontando. Lo abbiamo visto in queste elezioni di Midterm, dove i suoi candidati sono andati malissimo, e lo abbiamo visto alla cerimonia di ricandidatura, dove praticamente tutta la sua famiglia, a cominciare dalla figlia Ivanka, era assente. Ma lo vediamo soprattutto dai grandi finanziatori del partito, che hanno già annunciato di voler sostenere altri candidati repubblicani”.
Torna Donald Trump, ma il partito repubblicano sembra aver imboccato un’altra strada, più moderata e meno estremista: oggi Trump è un peso per i repubblicani?
Più che una questione di posizione politica, i repubblicani rimproverano a Trump le sconfitte personali che ha collezionato dopo essere stato eletto nel 2016. Lo hanno attaccato mettendole tutte in fila: nel 2018 ha incassato una sconfitta nel voto di Midterm pesante, anche se è tradizione che in America il partito al governo perda. Solo George Bush nel 2002 era riuscito a evitarla, ma si trattava di un’onda emozionale in seguito agli attacchi contro le Torri Gemelle. Trump ha poi perso le presidenziali del 2020 e ha perso anche nel gennaio del 2021 alle elezioni suppletive in stati come la Georgia.
In particolare, in queste elezioni di Midterm i suoi candidati, personaggi a lui fedelissimi, sono andati male. Questo significa che la sua idea di politica non piace più ai repubblicani?
Sì, è così. Infatti in queste elezioni la vittoria annunciata come da tradizione alla Camera si è rivelata molto più risicata di quanto ci si aspettava. Trump, coltivando il desiderio di vendetta contro quei parlamentari repubblicani che gli avevano votato contro, ad esempio nel caso dell’impeachment, li ha fatti fuori con i suoi candidati. Si trattava di persone che invece sarebbero state facilmente rielette. Ha messo personaggi radicali come lui, che non piacciono al repubblicano moderato e indipendente. L’accusa che gli viene mossa è che lui estremizza la politica. Pur avendo il sostegno del suo zoccolo duro di sostenitori, che oggi vale un 30-35% dell’elettorato, quando si va al voto generale Trump si trova contro la maggioranza degli americani.
La sua stella è al tramonto?
Che la sua stagione sia passata è evidente guardando a due fenomeni. Il primo è che anche la sua famiglia lo sta mollando. La figlia Ivanka, che era stata consigliere senior della Casa Bianca durante la presidenza del padre, gli ha detto: mi occupo della famiglia, non vengo alla cerimonia di candidatura. Ed è una cosa sorprendente per uno come lui che l’ha voluta sempre vicina. C’era solo un figlio in platea, che però non è neppure salito sul palco, un altro figlio ha detto che era andato a caccia, mentre un altro che aveva perso l’aereo. Secondo fattore: i finanziatori del partito, grandi miliardari.
Cosa faranno?
Hanno già detto che stanno con il governatore della Florida, Ron DeSantis. Anche il capo di Blackstone, una delle più grandi società finanziarie del mondo, ha affermato che è tempo di cambiare cavallo. Lo stesso Trump è apparso poco convinto alla cerimonia di candidatura. Qualcuno dice, e non a torto, che alla fine di tutto si sia candidato per evitare i guai finanziari e legali che pendono su di lui.
Quindi non ha chance alle prossime presidenziali?
Non è detto, in realtà. Ha sempre una base elettorale forte, seppur minoritaria. Se si presentano altri candidati contro di lui, ci sono sempre i nostalgici trumpiani. Gli altri candidati dovranno mettersi d’accordo per puntare sin da subito su un solo nome e facendo uscire di scena i candidati più deboli, altrimenti la nomination di Trump diventa inevitabile.
Anche in campo democratico ci sono discussioni in corso. Biden vuole ricandidarsi, ma a partire da Obama molti vogliono un candidato più giovane.
I democratici, a differenza dei repubblicani, non hanno un candidato forte al posto di Biden. Kamala Harris non ha realizzato una grande prestazione al voto di Midterm. Magari adesso, con due anni di tempo, si costruirà un personaggio che regge. Altri possibili candidati come il governatore della California Gavin Newsom o Pete Buttigieg hanno vari problemi sia dal punto di vista politico che di immagine. Il primo è un californiano scatenato, che piace poco all’America più interna, ma anche a quella della costa orientale. L’altro è gay. Non penso che l’America sia pronta a un presidente gay: nonostante le apparenze, gli americani sono ancora abbastanza ostili verso i gay.
Quindi largo a Biden?
Biden è sicuramente anziano, ma per come sta gestendo il conflitto in Ucraina, sostenendo Kiev con saggezza e misura, senza esagerare, o per come ha gestito la crisi dei missili caduti in Polonia, non so dire quale altro candidato saprebbe tenere testa a Putin e a Xi Jinping come fa lui. Se il fronte repubblicano presenta un DeSantis, anziché Trump, è possibile che anche i democratici decidano di puntare su un personaggio più giovane. La sfida tra Biden e Trump non sarebbe certo entusiasmante, ma l’attuale presidente americano è l’unico che possa dire: io l’ho già battuto.
(Paolo Vites)
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