Domenica alle 17:00 si avvierà il Mondiale di Calcio di Qatar 2022 con il “prestigioso” match tra Ecuador e la squadra del Paese ospitante. Per la prima volta nella sua storia, come ben sanno i numerosi appassionati dello sport “nazionale” nel nostro Paese, questa competizione non si disputerà nei mesi di giugno e luglio, com’è avvenuto tradizionalmente, ma, appunto, tra novembre e dicembre cioè nel periodo autunnale dell’emisfero boreale.
Importante sottolineare che oltre al “Khalifa International Stadium” (50.000 posti a sedere e già pronto al momento dell’assegnazione dell’evento nel 2010), altri sette stadi ospiteranno il mondiale e ben sei di questi sono completamente nuovi.
In questo quadro, secondo, ad esempio, il Guardian, uno dei più prestigiosi giornali inglesi, dal momento dell’aggiudicazione del diritto a ospitare la Coppa del mondo in Qatar sono morti, proprio per la costruzione dei nuovi stadi e di tutte le relative infrastrutture, più di 6.500 lavoratori migranti provenienti da Bangladesh, India, Pakistan, Sri Lanka. Un dato particolarmente importante se si pensa che la popolazione del Qatar ammonta a circa 2.650.000 persone e che ben il 94% della forza lavoro è rappresentata da migranti, nella grande maggioranza dei casi uomini provenienti dai Paesi dell’Asia meridionale.
Nonostante, insomma, tutte le legittime preoccupazioni degli osservatori stranieri l’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro, sembra trovare, nella vicenda qatariota, anche elementi di significativi miglioramenti. Si pensi, banalmente, al “diritto a cambiare lavoro”.
Infatti, in Qatar i lavoratori, prima delle più recenti riforme, erano chiamati a richiedere il permesso ai loro datori di lavoro per poter cambiare lavoro. Quest’obbligo rappresentava uno degli elementi più problematici del sistema, denominato “kafala” e molto diffuso nei Paesi del Golfo, che rendeva i lavoratori eccessivamente dipendenti dai loro datori di lavoro e creava evidenti situazioni di sfruttamento.
Dal 2020 i lavoratori qatarioti possono, quindi, cambiare lavoro in qualsiasi momento, dopo un “normale” periodo di preavviso che può durare fino a due mesi. Anche i lavoratori migranti, compresi i lavoratori domestici, non hanno così oggi più bisogno di un permesso per lasciare il Paese che li ospita. Si pensi che nei due anni successivi all’introduzione della nuova normativa sono state approvate oltre 350.000 richieste di “cambio di lavoro” con ricadute, secondo l’Ilo, positive per l’intera economia del Qatar.
Lavoro e sviluppo, sociale ed economico, possono, insomma, “forse” andare di pari passo anche in Paesi caratterizzati da spazi di democrazia, almeno secondo il modello occidentale, limitati e crescere con percorsi di “riformismo possibile”. Se poi alla fine è bastato per fare piccoli, ma significativi, passi avanti, organizzare poche partite di quello che è probabilmente lo sport più bello, e allo stesso tempo democratico, del mondo, molto ancora potremmo fare per il Qatar, ma non solo, quando i riflettori del mondiale si spegneranno.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.