Caro direttore,
ha colpito leggere Carlo De Benedetti accusare il Pd di Enrico Letta di aver sbagliato una campagna elettorale tutta mirata sulla demonizzazione degli avversari: il giornale di cui l’Ingegnere è editore – Domani – fino al 25 settembre è stato fra i fan più acritici del Pd. Ma a sorprendere ancor di più è stata, nella stessa intervista, l’adesione alla candidatura di Letizia Moratti per la Regione Lombardia sulla base di un approccio identico: l’obiettivo dichiarato è “far perdere Salvini per far cadere il governo Meloni”. Costruire un “ridotto lombardo” (una sorta di “libera repubblica partigiana”) per far poi calare su Roma un nuovo “vento del Nord”.
Quasi due mesi dopo il voto, dall’ex “tessera numero uno del Pd” non è giunta comunque nessuna riflessione vera sulle ragioni dell’esito elettorale nazionale e sul momento politico-economico italiano. E se il Pd, secondo De Benedetti, ha peccato di “imbullonamento” alle poltrone del potere, non sembra alla fine diversa la motivazione della chiamata alle armi di un certo establishment milano-centrico (usualmente autodefinito “società civile”) a favore della Moratti: “sbullonare” dopo trent’anni il centrodestra dal Pirellone per “imbullonare” poteri finanziari più o meno indeboliti, anche nel rapporto (spesso ambiguo ma decisivo) con Silvio Berlusconi.
Senza dimenticare che i 18 mesi di Mario Draghi a Palazzo Chigi sembrano aver definitivamente confermato che l’ex presidente della Bce è diventato un esponente di primo livello dell’establishment globale partendo da Roma, senza mai realmente passare per Milano (emblematica la scarsa incisività di Francesco Giavazzi nel ruolo di super advisor finanziario a Palazzo Chigi).
In attesa che la campagna per la Lombardia entri nel vivo, è intanto cronaca – qui rilevata senza intenzioni strumentali – che a Piazza Affari il titolo Saras (la holding petrolifera dalla famiglia Moratti) sta galoppando. Era a quota 0,5 euro il giorno dell’inizio della guerra in Ucraina, ancora convalescente da due anni di recessione da Covid. Oggi è oltre 1,30, avendo riguadagnato la quotazione del gennaio 2020. Non è una traiettoria diversa da quella seguita dai titoli dei gruppi energetici del pianeta, che hanno visto moltiplicare più volte i loro profitti dopo lo shock energetico globale e le sue ricadute speculative.
È uno sviluppo che ha visto scendere in campo con affermazioni taglienti perfino il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, preoccupato che l’inflazione alla pompa di benzina o nelle bollette elettriche e i mega-utili delle “sorelle” americane gli fossero fatali alle ultime elezioni midterm. Lo stesso Biden, l’altro giorno al G20 di Bali, ha promesso al premier italiano Giorgia Meloni di esaminare l’ipotesi di forniture di gas all’Italia a prezzo di favore, in un 2023 che si annuncia ancora drammatico.
Se l’emergenza da inflazione energetica è oggi la priorità unica di famiglie e imprese italiane (e un sesto del Pil è prodotto in Lombardia) allora non sembra fuori luogo immaginare che il vero confronto attorno al Pirellone possa risolversi non fra gli ennesimi appelli “democratici” di Carlo De Benedetti e la tenuta del governatore leghista Attilio Fontana, ma fra il gas di Giorgia e il petrolio di Letizia.
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