Ucraina, la sfida per pace e riparazione

La situazione in Ucraina potrebbe evolvere verso una fine delle ostilità. Ma non ci sarà pace senza un processo che renda possibile una riparazione

Sarei disposto a dare la vita per ciò che considero giusto, per la libertà? La domanda che tutti ci siamo posti a febbraio riaffiora. Riappare quando un bombardamento o qualche notizia particolarmente drammatica ci toglie dalla distrazione e ci ricorda che in Ucraina è in corso una guerra contro l’invasione di Putin. Dopo 100.000 morti (in ciascuna delle due parti), torture, fosse comuni, attacchi contro obiettivi civili, il desiderio di giustizia non si è spento. Ora l’inverno sta arrivando, è caduta la prima neve e ci sono dieci milioni di ucraini senza elettricità. E il desiderio che costruisce la storia non svanisce. Il fattore umano rimane decisivo in questa guerra e dovrà essere la chiave per la pace.

Senza il sostegno occidentale, l’Ucraina non avrebbe resistito, né continuato a riconquistare il territorio invaso. Ma ciò che resta decisivo è l’energia inspiegabile delle persone, del soggetto. Sono mosse da un’esigenza traboccante, concreta di riparazione, capace dei più grandi sacrifici. Da febbraio assistiamo a un’esperienza di resistenza che sfida le apparenze, le costruzioni ideologiche, che ci fa domandare quale sia il segreto del popolo ucraino, il segreto della condizione umana che ci era sfuggita finora. È certamente una sfida non solo per gli eserciti di Putin, ma anche per la ristrettezza del nostro sguardo.

Ci sono molti esempi di come i fatti sfidano gli schemi. Prendiamo il caso del presunto espansionismo statunitense. In Spagna, dopo la guerra di Cuba (1898), la sinistra e la destra hanno alimentato un pregiudizio nei confronti dell’imperialismo yankee, che una volta aveva qualche fondamento. Ma abbiamo visto come in questo conflitto il discorso del secolo scorso sia diventato vecchio. Il problema per il mondo e per l’Europa non è che Washington volesse aumentare la sua egemonia usando la Nato. È proprio l’opposto: gli Stati Uniti stanno vivendo uno di quei momenti in cui la tentazione dell’isolazionismo riaffiora con forza. Una vittoria rotonda dei Repubblicani nelle elezioni di midterm sarebbe stata sufficiente per far vacillare il sostegno di Biden all’Ucraina.

La scorsa settimana abbiamo vissuto una nuova “crisi missilistica” al confine tra Ucraina e Polonia. Per alcune ore abbiamo temuto che Varsavia potesse invocare l’articolo 5 della Nato (che obbliga l’organizzazione a proteggere i suoi partner). Biden, Putin e tutti gli attori in gioco (tranne Zelensky) si sono affrettati a dire che il missile non era russo. È difficile mantenere l’interpretazione che attribuisce parte della responsabilità della guerra all’espansionismo della Nato.

Qualcosa si muove dopo mesi senza contatti diplomatici. Mark Milley, presidente del Joint Chiefs of Staff, ha detto che l’inverno potrebbe essere un buon momento per iniziare a parlare. Il Pentagono ha riconosciuto che il direttore della CIA e il suo omologo turco hanno parlato. Erdogan è stato un buon mediatore perché Putin riconsiderasse la sua decisione di non lasciare che il grano ucraino passasse attraverso il Mar Nero.

Molte voci chiedono alla Nato e a Biden di far capire a Zelensky che una vittoria completa per l’Ucraina (compresa la Crimea) non è conveniente. La possibilità di un accordo di pace sembra chiusa in un labirinto. La formula della “pace in cambio di territori” è respinta da entrambe le parti. Mosca non l’accetta, tra le altre cose, perché significherebbe ammettere di essere stato l’aggressore. La caduta di Kherson, fino a poco tempo fa impensabile, rappresenta un duro colpo per i russi. Zelensky non chiede più che Putin lasci il potere, gli basta una cessazione delle ostilità. Ma Putin ha bisogno della guerra per rimanere al Cremlino.

Paradossalmente, una “soluzione provvisoria”, un semplice cessate il fuoco senza definizioni, un armistizio come quello mantenuto dal 1953 tra la Corea del Nord e quella del Sud, potrebbe essere più facile. In ogni caso, non ci sarà pace senza un processo che renda possibile una riparazione. La riparazione non consiste mai nel recuperare ciò che è stato perso (è quasi sempre impossibile), ma nel ricevere un bene che permetta di ricominciare. Ripartire con la consapevolezza che l’esigenza di giustizia documenta l’esistenza dell’eterno e solo nell’eterno trova una risposta.

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