Nel 1944 i principali Paesi del mondo si preparavano a chiudere la drammatica vicenda della guerra, provando a disegnare un assetto nuovo di relazioni internazionali che evitasse il ripetersi degli orrori che avevano caratterizzato la prima metà degli anni Quaranta del secolo scorso. Con questo obiettivo i grandi del Pianeta si incontrarono a Bretton Woods, cittadina del New Hampshire.
Perno centrale per ristabilire una cornice geopolitica tale da consentire la pacifica convivenza dei popoli fu la definizione di un ordine monetario globale centrato sulla multilateralità dei pagamenti, la convertibilità delle monete, i cambi fissi. Allo scopo di scongiurare il rischio che l’occupazione militare dei territori tornasse a essere lo strumento per perseguire l’allargamento dei mercati, si volle immaginare un sistema che permettesse di ricercarne l’ampliamento attraverso il libero movimento delle persone, delle merci, dei servizi.
Protagonisti del negoziato furono Harry Dexter White e John Maynard Keynes. Fu proprio l’economista britannico a vagheggiare la creazione di una valuta sovranazionale governata dalla razionalità degli uomini per sottrarre le prospettive di sviluppo dell’intera comunità delle Nazioni all’arbitrio di una sola potenza egemone in un momento dato. La proposta rimase un sogno. Un sogno valutario chiamato Bancor.
Sebbene non con il grado di perfezione suggerito da Keynes, nacque un ordine mondiale basato sulla cooperazione e volto alla diffusione del benessere, i cui presupposti erano la ricostituzione e il mantenimento di condizioni monetarie stabili. E l’utopia del Bancor indicò un percorso: i due decenni che seguirono furono caratterizzati dalla crescente consapevolezza dell’importanza della collaborazione tra governi e autorità monetarie e della necessità di affidare le nostre sorti alla creatività e discrezionalità dell’uomo (anziché a rigide regole), allo scopo di creare benessere a vantaggio della più alta quota possibile di abitanti della Terra. Ne scaturirono i decenni di maggiore successo economico della storia dell’umanità.
Il 30 maggio 1971 comparve per la prima volta sull’Espresso una firma enigmatica: Bancor.
Raramente nella storia del giornalismo uno pseudonimo ha avuto tanta fortuna; un successo editoriale senza precedenti e senza eredi. Gli interventi di Bancor furono attesi da economisti, politici e banchieri con crescente interesse, riportati dalla stampa estera, commentati all’università, dibattuti nel corso di alti consessi monetari internazionali e perfino oggetto di interrogazioni parlamentari. Il pezzo d’esordio si intitolava “Tempesta in arrivo”. Oggetto dell’analisi era proprio l’ordine monetario internazionale da cui il misterioso autore aveva tratto ispirazione per nascondere la sua identità. Egli espresse giudizi, valutazioni e previsioni sulla crisi che stava attraversando il gold exchange standard che gli assicurarono una meritata fama: meno di tre mesi dopo, infatti, Nixon dichiarò l’inconvertibilità del dollaro in oro e il sistema sancito 27 anni prima a Bretton Woods si sgretolò. L’editorialista non si limitò a descrivere la malattia, ma si spinse a formulare la terapia per uscirne. In una temperie burrascosa, ben oltre le pur gravi vicende monetarie internazionali, per tre anni egli continuò a indagare una realtà complessa proponendo possibili soluzioni agli intricati problemi con cui la società italiana era chiamata a confrontarsi.
Allora, come oggi, il futuro era avvolto nella nebbia. L’incertezza generava un senso di angoscia, che era particolarmente acuto in Italia. Nel triennio 1971-73 – il triennio di Bancor – il Paese era sconvolto da una terribile ondata di violenza terroristica, attraversato da scioperi e rivendicazioni sindacali che seguivano la follia del “salario variabile indipendente”, la libertà d’impresa era minacciata, i rapimenti a fini estorsivi sempre più frequenti, i conti pubblici cominciavano a deteriorarsi, i fenomeni di corruzione iniziavano a diffondersi a vari livelli, lo shock petrolifero aveva travolto l’intero Occidente, alla stagnazione produttiva con alta disoccupazione si accompagnava l’inflazione a due cifre. C’era il fondato timore di una possibile regressione democratica tale da porre a repentaglio la stessa sopravvivenza delle nostre istituzioni repubblicane e del sistema di libertà ripristinato dopo la guerra, con il ritorno a uno Stato autoritario. Eppure noi cittadini italiani avemmo l’intelligenza e trovammo la forza di venire fuori da una situazione estremamente complessa.
Parecchi anni dopo l’ultimo intervento di Bancor si scoprì che gli autori degli articoli erano Guido Carli, mio nonno, e Eugenio Scalfari. Mesi fa, mettendo ordine negli archivi di famiglia, mi è capitata in mano la raccolta degli articoli di Bancor, con una dedica: “Bancor a Bancor. Eugenio a Guido, con grande affetto”. È stato in quel momento che è nata l’idea di istituire il Premio Bancor, per recuperare lo spirito che sta dietro una parola tanto ricca di suggestioni. Confrontando il periodo attuale con quello in cui il mondo si apprestava a uscire dalla guerra e con quello terribile degli anni Settanta, Bancor, nella sua duplice accezione, mitica moneta e firma leggendaria, rappresenta un significativo esempio circa l’approccio che è necessario tenere nei periodi burrascosi.
Giovedì 24 novembre, alla presenza dei vertici delle autorità monetarie del Paese, l’Associazione Guido Carli, con il patrocinio di Banca Ifis, conferirà il riconoscimento a una personalità di rilievo mondiale nell’ambito dell’economia: Lord Mervyn King, che interverrà sul tema “The Great Repricing: Central Banks and the World Economy”. Sulla scia segnata da Bancor, l’intento è dare vita a una riflessione sui problemi che stiamo attraversando, da cui possa ricavarsi una bussola utile per tracciare una rotta che ci conduca fuori del labirinto: ogni epoca presenta le proprie difficoltà, ma la storia insegna che, confidando nella razionalità e nell’ingegno dell’uomo, è sempre possibile trovare la strada per superare gli ostacoli.