Anna Basta, ex Farfalla della Nazionale di ginnastica ritmica dal 2016 al 2020, ha deciso di rompere il silenzio sul recente scandalo che ha travolto il mondo della ritmica. 21enne, oggi è allenatrice di altre ragazze e bambine con il suo stesso sogno per lei non c’è nulla di più importante che “facciano sport, divertendosi e crescendo. La ritmica è bellissima”. Ne ha parlato in un’intervista rilasciata a Quotidiano Nazionale, ricordando di quando nel 2020 alle soglie di Tokyo “non sono più tornata indietro”, lasciando per sempre la Nazionale.
“Stavo male, ma non riuscivo a raccontarlo – confessa l’ex Farfalla Anna Basta a Quotidiano Nazionale – Avevo 19 anni, ho cominciato con la ritmica che ne avevo 4. Non era facile parlare”. Di quell’esperienza durata quattro anni ricorda soprattutto “gli insulti ai quali eravamo sottoposte. Non tanto la prova della bilancia. Quanto le parole che seguivano quel momento”. Come, per esempio: “sei cicciona, sei un prosciutto, guarda che sedere che hai. Sei incinta”. Un comportamento che “condizionava il mio rapporto con il cibo“. Anna Basta ricorda con chiarezza che “in quei momenti, mi veniva da piangere. Avrei dovuto reagire, non ci riuscivo. Si era creato un rapporto tossico con i tecnici”.
Anna Basta, “eravamo umiliate, i miei genitori avevano intuito ma io li rassicuravo”
Anna Basta, ex Farfalla che ha deciso di raccontare la sua storia nell’intervista concessa a Quotidiano Nazionale, ammette che “in quei frangenti sei tu che sei convinta di essere sbagliata. Le allenatrici sono come una seconda mamma, si crea un legame affettivo che non è facile da capire”. E rigetta con forza le accuse che la vorrebbero soltanto alla ricerca di notorietà: “Ma quale fama? – si chiede – Eravamo umiliate“. Il suo desiderio ora è che “cambiasse il sistema. La ginnastica ritmica è bellissima. Ma deve essere insegnata nel modo giusto”.
Anna Basta ribadisce con forza che quelle imposte dalle allenatrici “non erano rinunce. Mi dicevano di non mangiare, di non bere. Certe cose, le deve affrontare un nutrizionista“. E ricorda che per ben “due volte l’idea del suicidio mi ha sfiorata” perché “mi sentivo inadeguata“. Un pensiero che è “svanito grazie all’aiuto di alcune persone“, con il costante supporto dei genitori e il sostegno di un percorso psicologico che le ha permesso di tornare a vedere il bello della ginnastica ritmica. Racconta che i suoi genitori “avevano intuito che qualcosa non andava. Ma ero io stessa a rassicurarli. A dire loro che in fondo andava tutto bene”. E adesso la sua missione è diffondere il messaggio che si deve “affrontare uno sport come la ritmica con lo spirito giusto. Che significa affrontare sacrifici duri. Ma essere trattati bene. Pur accettando di lavorare sodo. Come abbiamo sempre fatto. Ma le umiliazioni no. Lo sport deve insegnare ed educare. Ma nel modo giusto“.