Il modello Lombardia e i suoi nodi

In Lombardia pare delinearsi un format elettorale poco dissimile da quello che ha connotato il recente voto politico nazionale

Neppure gli “stati generali” di Lombardia 2030 – per quanto ben intenzionati – sembrano esser stati capaci di proiettare la campagna elettorale per le regionali dalle schermaglie partitocratiche a un confronto sulle questioni reali, se non sui proverbiali programmi. Dopo un mese agitato, costellato esclusivamente di candidature vere e ballon d’essai, pare invece delinearsi un format elettorale poco dissimile da quello che ha connotato il recente voto politico.

La maggioranza di centrodestra – che governa la Lombardia dal 1995 – non sembra distanziare la sua proposta da quella di una pura riconferma inerziale: supportata da un auto-affermato “buon governo” di lungo periodo e appoggiata dal fresco successo elettorale a livello nazionale. Le opposizioni (almeno tre, a ricalco del nuovo schieramento parlamentare) sono per ora impegnate in un puro regolamento di conti interno, in parte retaggio del voto del 25 settembre. Il discorso corrente non pare quindi molto diverso da quello della campagna estiva: il fine della sfida elettorale lombarda è restare al potere per il centrodestra; è scalzare il centrodestra dal Pirellone per il centrosinistra, attraverso la formazione di quel cartello elettorale che – si sente ripetere – avrebbe consentito il mantenimento del potere a Roma. Da entrambi i campi, non sta giungendo pressoché nessuna riflessione aggiornata sul presente e sul futuro della Lombardia: sul perché un elettore della più grande regione italiana dovrebbe rivotare l’amministrazione uscente o sceglierne una nuova.

In attesa che il vivo di una campagna che potrebbe essere altrettanto breve di quella politica faccia emergere reali contenuti politici, non sembra fuori luogo segnalare almeno un paio di linee d’interfaccia (politico-economica) sulle quali la Lombardia 2023 sarà certamente chiamata a misurarsi ben prima del 2030.

La prima è quella che continua a essere chiamata “autonomia”, ma è già una questione molto diversa – molto più complessa – di quella oggetto cinque anni fa di un referendum consultivo.  Quando Lucio Caracciolo – in questi giorni osservatore di punta della crisi geopolitica – inserisce il solo “Norditalia” nell’Europa alla ricerca affannosa di nuovi equilibri fra Usa e Cina, è evidente che “l’autonomia lombarda” non riguarda più semplici flussi finanziari interni al sistema-Paese e neppure prospettive di federalismo o devolution pensate in altri tempi al di qua delle Alpi. Il punto appare invece – di volta in volta – la relazione della seconda manifattura europea con la prima (quella tedesca). Oppure le prospettive internazionali – non interregionali o rispetto al “centro” romano – dei tre “campioni” bancari italiani, tutti basati a Milano, tutti vigilati dalla Bce.

Fra finanza e industria è ancora possibile traguardare la storica tensione fra Milano, gli altri capoluoghi e i territori della Lombardia diffusa. Il sindaco Beppe Sala – che dialoga col suo omologo di San Francisco – ha in mente una “Smart City” che attragga persone: cervelli per un distretto biomedico in crescita oppure visitatori a cinque stelle per il Salone del Mobile, le Settimane della Moda e tutti i loro cugini e cugine. Per questi “milanesi per un giorno, una settimana, un mese, un anno” la metropoli dev’essere protagonista della “ri-globalizzazione che verrà”, rinascendo verde e digitale (cioè a regola di Pnrr). Ed è sicuramente una città in cui la finanza si lascia definitivamente alle spalle la stagione attiva di una Borsa nazionale e si espande invece sulle correnti d’investimento del ridisegno urbanistico-immobiliare.

I molti distretti manifatturieri del Made in Italy – non necessariamente in contrapposizione al baricentro milanese – lottano invece per mantenere e migliorare la loro competitività fuori Lombardia, fuori Italia, fuori Europa. Detto nel modo più elementare: devono continuare a vendere i loro prodotti in Cina. Devono poterlo fare da subito in condizioni rese difficili dalla crisi energetica, ma anche dall’inevitabile peggioramento dell’intero “ecosistema”: dalla scuola – incerta fucina di risorse umane “4.0” – alla sanità, indebolita dal ciclone-Covid.

Un tempo il manuale Cencelli recitava che il Sindaco di Milano valeva più di un Ministro. Il futuro Governatore della Lombardia è possibile emerga in modo compiuto – dopo mezzo secolo – con un ruolo autenticamente “aggiunto” rispetto alla stanza dei bottoni di palazzo Chigi e dintorni. Finora, tuttavia, nessun candidato – o pre-candidato – si sta muovendo a quella altezza attesa.

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