Charles Baudelaire era rientrato dall’Isola della Réunion (all’epoca Île de Bourbon) nel febbraio del 1842. Il soggiorno ai tropici era stato l’esito di un’irresistibile invitation au voyage, ora placata. Prende una casa a Parigi nell’Île Saint-Louis ed entra a far parte di un circolo letterario ove spiccano i nomi di Victor Hugo, Charles-Augustin de Saint-Beuve e Théophile Gautier.
Quest’ultimo è un accanito frequentatore della Salle Le Peletier, il teatro allora sede dell’Académie Royale de musique, ossia dell’Opéra e gli parla del balletto Giselle, che si va preparando su un suo libretto e dei successi strepitosi ottenuti dalle opere di Donizetti, di Meyerbeer e di Halévy. Tutte con una cantante allora al massimo del suo successo, potente al punto d’essere soprannominata la sultane de l’Académie Royale de musique e posseduta dal demone della tragedia in modo almeno pari alla leggendaria Marie-Cornélie Falcon o alla grande attrice Rachel: era costei Rosine Stoltz.
Baudelaire odiava l’opera e i suoi apparati vocali e spettacolari: ma a vent’anni (e prima d’incontrare la sua musa creola, Jeanne Duval) come molti della sua età aveva bisogno di un idolo femminino. E la Stoltz era la figura ideale. Nata in Spagna come Victoire Noël, figlia di un maniscalco militare dell’Armée di Joseph Bonaparte, in possesso di una voce straordinaria che univa il contralto al mezzosoprano e al soprano, aveva studiato a Parigi e s’era presto affermata nei ruoli protagonistici del grand’opéra storico come Le Huguenots o Robert Le Diable di Meyerbeer o la Juive di Halévy, ma la sua massima gloria era venuta con La favorite e Dom Sébastien che Donizetti aveva scritto espressamente per lei, nonché con La reine de Chypre, anch’essa confezionata a sua misura da Halévy.
La Stoltz tuttavia non era solo una grande cantante: era un’icona di costume e di moda. Alta, magra, elegante ed eccentrica, le celebri gambe volentieri esibite nelle calzemaglie dei ruoli en travesti, mettevano a rumore le tout Paris; i suoi amori e le sue relazioni andranno dall’attuale direttore dell’Opéra, Léon Pillet, al duca Ernst II di Sassonia Coburgo Gotha, fino ad un matrimonio in età matura con il principe spagnolo Manuel de Godoy.
I suoi atteggiamenti trasgressivi, la sua indipendenza, il suo charme strano, ammaliarono il giovane Baudelaire: che si appostava quasi maniacalmente a vederla passare, a piedi o in carrozza, tra la Chaussée d’Antin e Rue Le Peletier, contemplandone il volto spirituale, pensoso e selvaggio al tempo stesso e la sua bocca rossa che talora schiudeva dei denti bianchissimi. Innamorandosi presto di quella sorta di baccante parigina. Al punto da compiere un giorno il gesto più che audace d’andare a trovar la diva nel suo appartamento di rue Laffitte per dirle tutto il suo amore. Madame era assente, ma attendeva un ospite dall’estero e aveva lasciato detto alla sua governante di farlo entrare anche in sua assenza. Così il poeta venne facilmente introdotto in uno dei salotti di casa Stoltz e servito di dolci alla mandorla e vino di Spagna. Frastornato dall’ispirazione sempre più invadente di scrivere una sorta di ode macabra su una donna morta in un contesto di lusso eccessivo e appena decadente come quello in cui si trovava, Baudelaire chiese se vi fosse da fumare e da scrivere.
La governante gli schiuse i cassetti d’un mobile pieno di biondi sigari, di tabacco e di cartine per sigarette, nonché uno scrittoio con eleganti fogli di carta azzurrina e con la penna già pronta, e Charles si mise a scrivere, dimenticandosi del mondo. Dopo un’ora il poema era quasi già scritto, il vino e i dolci finiti e il salotto invaso da una impenetrabile coltre di fumo. Venne distratto dal fruscio di un mantello e di un abito di seta, ossia da Rosine Stoltz che rientrava, a dir poco stupefatta dalla scena che le si parava davanti. Baudelaire la guardò come smarrito e gridò sgarbatamente: “Che succede ancora? Sapete che non voglio essere disturbato quando compongo i miei versi. È possibile che non si possa lavorare tranquillamente a casa propria!?”
Basita, ma anche in qualche modo divertita, la Stoltz replicò: “Signore, mi sembra che sia lei a non essere a casa sua!”
Baudelaire parve rientrare in sé: “Scusi, scusi… Ora mi ricordo… Ecco, ecco: è molto tempo che sono innamorato di lei ed sono venuto per farle la mia dichiarazione d’amore!”…
La Stoltz suonò con forza il campanello e alla governante, che arrivava con preoccupata premura, disse seccamente: “Accompagna il signore. È completamente pazzo!”
Il poeta guardò la cantante con uno sguardo contrito, dolce e amaro al tempo stesso, poi si risedette allo scrittoio e si mise a piegare con precisione e lentezza i fogli da poco vergati. La cantante si avvicinò e da dietro le spalle di lui, riuscì a leggere alcuni versi. Assai colpita, si chinò e gli sussurrò all’orecchio: “Mi legga quello che ha scritto… sembra grazioso”.
Baudelaire si girò di scatto, furibondo: “Signora, sappia che io non scrivo niente di ‘grazioso’, ma solo dei versi feroci!”. E tuttavia, nell’atto di prendere il cappello per andarsene, contemplò a lungo la donna di cui era venuto a dichiararsi innamorato, ne prese la mano lunga e pallida e la baciò più volte, febbrilmente. Poi fuggì a precipizio per le scale. Rosine, stupita e pensosa insieme, andò a spalancare le finestre per far uscire quella nuvola di fumo, così dannosa per la sua voce.
Due anni dopo, Baudelaire era ormai celebre e le sue poesie (non ancora raccolte in Les fleurs du mal) facevano furore. Tutti sapevano che il poema breve Une martyre. Dessin d’un Maître inconnu era ispirato a Rosine Stoltz, non foss’altro per la minuziosa descrizione e del suo fisico e del suo appartamento. Si mormorava per salotti e foyers d’una liaison compromettante fra i due, ciò che alla cantante sembrava assai inopportuno, stante il suo amore con Pillet. Si recò dunque una sera all’Hôtel Pimodan, un palazzo di proprietà del barone Pichon, sempre nell’Île Saint–Louis, dove il piano superiore era stato affittato a Baudelaire e a Gautier, che vi avevano fondato il loro fumoso Club de Hashishins.
Stavolta era il poeta ad essere fuori casa: ma il portiere aveva l’ordine di far salire chiunque e di aspettarlo. Rosine salì ed entrò in una sorta di ampio boudoir con le pareti tappezzate d’una carta a ramages neri e rossi, con un ritratto enigmatico di Delacroix, oggetti esotici d’ottone e rame, tappeti turchi e vetri di Murano. Stupefatta e al tempo stesso curiosamente a suo agio, la Stoltz si tolse la pelliccia e si infilò una sorta di tunica à la chinoise poggiata in modo invitante su una sedia. Venne attratta da una raccolta di poesie del Petrarca in italiano e s’immerse nella lettura. Baudelaire apparve solo alle due di notte, accolto dallo sguardo incantatorio della donna, che gli disse: “Mio caro Charles, è lei in un ‘grazioso’ ritardo stasera”…
Oltre non è dato sapere.
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