Il ministro della Giustizia Carlo Nordio non è disposto a fare sconti e a scendere a compromessi.
Sia nella sua audizione al Senato che nelle repliche alle critiche che ne sono conseguite il Guardasigilli non si è risparmiato. Severissime le critiche al riscorso eccessivo e indiscriminato alle intercettazioni telefoniche, che costano allo Stato la cifra astronomica di 203 milioni euro all’anno (nessuno in Europa spende di più) e che impongono una urgente revisione della materia. Queste le severe parole del ministro: “le intercettazioni possono essere uno strumento micidiale di delegittimazione, ma la loro diffusione arbitraria è una porcheria. Questa non è civiltà, questa non è libertà, questa è una deviazione dei principi giuridici per i quali questo ministro è disposto a battersi fino alle dimissioni”.
Espressioni che non lasciano dubbi sulla volontà di Nordio di andare fino in fondo, ma anche consapevolezza che potrebbe trovare resistenze all’interno della maggioranza di governo, resistenze che il Guardasigilli non sarebbe disposto a tollerare, a costo anche di fare un passo indietro e dimettersi.
Anche perché vi sono altri temi su cui il ministro ha preannunciato di voler dare battaglia: la separazione delle carriere tra Pm e giudici che, svolgendo ruoli radicalmente diversi, non devono appartenere al medesimo ordine, e l’abrogazione della obbligatorietà dell’azione penale, che si è tradotta “in un intollerabile arbitrio” consentendo ai Pm “di indagare nei confronti di tutti senza rispondere a nessuno”; sistema questo che “conferisce alle iniziative e talvolta alle ambizioni individuali di alcuni magistrati, per fortuna pochi, un’egemonia resa ancora più incisiva dall’assenza di responsabilità in caso di mala gestione”. E ancora, l’abuso della custodia cautelare, definita un “surrogato temporaneo dell’incapacità dell’ordinamento di mantenere i suoi propositi” e ancora la necessità che le pene siano proporzionate al crimine commesso con la precisazione che certezza e rapidità della pena “non significano sempre e solo carcere”.
Ma la politica sosterrà il ministro nella realizzazione di queste riforme, tutte ispirate a buon senso e al rispetto di principi costituzionalmente protetti?
Già nelle scorse settimane i primi provvedimenti del Governo erano stati di segno opposto rispetto al garantismo che già allora aveva contraddistinto i primi interventi del ministro della Giustizia: creazione confusa ed imprecisa di nuovi reati (rave party) e irrigidimento sui benefici penitenziari per i condannati all’ergastolo ostativo avevano suscitato reazioni critiche tra i giuristi.
Contraria alle innovazioni preannunciate da Nordio si è già detta l’Associazione nazionale magistrati (Anm), che per bocca del suo presidente Santalucia ha definito vaghi e ingenerosi i rilievi mossi da Nordio al sistema delle intercettazioni, strumento definito come irrinunciabile nel contrasto alla criminalità (in realtà nessuno ha detto che bisogna abolirle, bensì solo meglio regolamentarle). L’Anm certamente si farà sentire anche se verosimilmente, dopo i recenti fallimenti, non ricorrerà più a strumenti di protesta eclatanti quali lo sciopero.
Tiepida anche la presidente del Consiglio, che ha commentato precisando di essere una garantista nella fase di celebrazione del processo, ma “una giustizialista nella fase di esecuzione della pena”, definizione questa che sembra porsi in contrasto con il dettato costituzionale che vede nella pena uno strumento di rieducazione del condannato che deve essere accompagnato in un pieno reinserimento nel contesto sociale.
Incoraggiante invece quanto votato in Commissione giustizia, dove è stata decisa l’esclusione dei delitti contro la pubblica amministrazione dall’elenco dei reati ostativi alla concessione dei benefici penitenziari abolendo così un assurda e iniqua norma introdotta dal governo pentastellato che parificava i reati contro la pubblica amministrazione ai delitti di mafia.
Solo il tempo potrà ora dire se al ministro della Giustizia sarà concesso di dare concretezza ai suoi propositi. Certo è che Nordio ha ieri detto di non voler scendere a compromessi. Anche a costo di togliere il disturbo.
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