Il 7 dicembre 2022 si è celebrato alla Scala di Milano un capolavoro di diplomazia politica transnazionale: la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha potuto incontrare con più distesa armonia il primo ministro Giorgia Meloni unitamente al presidente del Senato Ignazio La Russa. Ma ciò che di più impressionante è accaduto è stato l’applauso di oltre sette minuti rivolto dalla platea al presidente Sergio Mattarella. Una platea festante, dopo i due inni che hanno risuonato sotto la volta di un teatro che ha visto dipanarsi il nostro Risorgimento e i drammi della nostra Patria, ma drammaticamente rapita e dimentica dei problemi che mentre si scatenava quel rito di identificazione e di rimozione insieme si addensavano e si addensano sulla borghesia festante e sui ceti di questo capitalismo che si trasforma così velocemente da non ritrovare più se stesso.
Non si incontrano più, in quella platea, gli esponenti delle storiche famiglie lombarde e milanesi che fino a pochi anni or sono si affollavano nel foyer e nelle sale e nei palchi: oggi sono le nuove classi peristaltiche che affollano quelle mura, sono i nuovi ceti e i quasi gruppi dei servizi alle imprese e al mondo del metaverso che giunge veloce a segnare il passo dei tempi, che si affollano a mettere in mostra se stessi. E nessuna opera lirica più di quella rappresentata la sera del Sant’Ambrogio del 2022 poteva meglio condensare i drammi che ci attendono . L'”era dei torbidi”, infatti, trova la sua rappresentazione nell’opera di Musorgskij che riprende i capolavori del Puškin che guarda all’Amleto come a un canovaccio ispiratore e che viene genialmente riproposto unitamente a quell’opera fondamentale di Karamzin sulla Storia dello stato russo che ci parla ancora oggi.
Sono tempi drammatici e di cui la folla festante pare non avere contezza, rapita come era e come è nell’idillio post-romantico dell’identificazione nei capi. La von der Leyen festeggiata e festante rappresenta la gravità della situazione, perché più di ogni altra persona incarna l’incapacità decisionale della “nuova classe” eurocratica.
L’ultima drammatica decisione assunta dalla burocrazia eurocratica è stata, infatti, quella – impetrata dagli Usa dimentichi del loro ruolo egemone e non solo dominatore – del tetto imposto astrattamente al prezzo del petrolio russo. Così facendo, con le sanzioni, si sta spingendo la Russia a dirigere i flussi del greggio non più verso l’Europa, ma verso la Cina e l’Oriente, con un vertiginoso aumento dei prezzi della raffinazione in primis e con conseguenze incalcolabili di cui abbiano avuto la prima manifestazione in Sicilia con la Lukoil.
L’Ue sta spingendo la Russia non già a limitare le sue esportazioni, ma a inviare il suo greggio verso i mercati dell’Estremo Oriente, con un aumento dei costi difficile da sostenere. Ma la questione veramente cruciale che le sanzioni petrolifere anti-russe sollevano sono le conseguenze disastrose che si determineranno per il finanziarizzato sistema vigente di fissazione dei prezzi petroliferi internazionali – che recentemente Salvatore Carollo ha illustrato con la sua magnifica capacità analitica.
Se il petrolio russo non sarà più quotato con il sistema di fissazione dei prezzi in vigore, ossia sulla base attuale del Brent, ma, invece, sulla base della borsa di Dubai, che lo spostamento dei flussi commerciali rendono più profittevole e praticabile, tale borsa diverrebbe uno dei centri decisivi della fissazione di prezzi, via via portando alla decadenza la borsa londinese, creata, com’è noto, dall’attivismo nazionalistico della signora Thatcher nel 1978, e che costituisce un polo di riferimento nel sistema di relazioni internazionali e non solo dei prezzi petroliferi. Uno dei centri del potere mondiale si sposterebbe nel cuore mediorientale dell’Heartland, con una radicale modificazione dei rapporti di potenza, avvantaggiando la stessa Russia – che si vuole colpire – e la Cina, che troverebbe in questa rotazione del sistema di potenza un potente incentivo alla sua penetrazione revisionistica e aggressiva nei confronti dell’Occidente.
Le contraddizioni interne alla stessa Europa e alla stessa Ue non potrebbero che esacerbarsi drammaticamente. Il viaggio di Scholz in Cina è lì a ricordarcelo, appena usciti dalle volte della Scala per immergerci nel mondo reale, dove la musica non risuona, ma s’odono solo i gemiti di un mondo che muore mentre il nuovo non si decide a nascere…
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