Stando ai contenuti della Manovra e alla danza macabra in atto sugli emendamenti, falciati come fili d’erba unicamente per raggiungere quota 400, un tanto al chilo, viene da pensare che il Governo viva su Marte. Una cosa è chiara, però: l’Esecutivo sta disattendendo praticamente tutte le promesse formulate in campagna elettorale. Nulla di nuovo, in realtà. La storia delle Manovre di questo Paese è piena di mance e mancette verso i particolari segmenti di popolazione che, in quel momento e in base alla colorazione dell’Esecutivo di turno, coincidono casualmente con le fasce di elettorato più fedele. O i bacini di riferimento, vedi quello storico della Magliana che ha permesso ad Alitalia di bruciare miliardi pubblici. Ora, in punta di onestà occorre sempre ricordare come il primo Def dell’era Meloni sia nato in due settimane e scontasse due terzi della dotazione già vincolata a interventi contro il caro-bollette. Ora, però, si sta entrando nella zona a rischio. Quella vera.
Da un lato, sociale. Perché al netto del dibattito sul Reddito di cittadinanza che rischia di infiammare le piazze oltre all’Aula, ecco che proprio in sede di approdo parlamentare della Finanziaria si scopre che la maggioranza ha deciso di sacrificare l’innalzamento a 1.000 euro delle pensioni minime, il tutto a favore di provvedimenti bandiera da finanziare, facendo cassa su fonti di taglio storicamente accessibili. Un esempio in tal senso arriva da quello che possiamo definire un simil-condono sulle cartelle esattoriali, il quale con il passare dei giorni si sta rivelando nulla più che un vaso comunicante fra tagli e coperture, entrambi raffazzonati e soprattutto chiarificatori di un’impostazione di classe della Manovra. Di fatto, i 700 milioni di risparmio dal Reddito di cittadinanza coincidono quasi perfettamente con il mancato introito per il Fisco calcolato dalla Corte dei Conti come conseguenza della cancellazione degli atti in essere. Insomma, un forzato accanimento verso il reddito fisso a favore delle partite Iva per far quadrare i conti in un’ottica di altrettanto obbligato regime di saldi invariati.
Unite a questo la riduzione immediata del taglio sulle accise della benzina e l’aumento del prezzo delle sigarette dal 1° gennaio e bentornati nella Prima Repubblica. Peccato che la Manovra non dovrebbe basarsi su un principio elettorale e consensuale di figli e figliastri ma pensare al bene dell’economia e del Paese. Ma ecco l’imprevisto come a Monopoli. A tempo di record dopo la sentenza sul Recovery Fund, la Corte costituzionale tedesca ha dato via libera anche alla ratifica parlamentare del Mes, respingendo tutti i ricorsi. Detto fatto, l’alibi che stava alla base del rinvio sine die del Governo al passaggio parlamentare viene meno. Con il sì scontato del Bundestag, l’Italia rimarrebbe l’unico Paese a non essersi ancora espresso al riguardo.
E giova ricordare che la ratifica del Mes necessita statutariamente dell’unanimità dei Paesi membri. Insomma, qualcuno a Roma pensa pericolosamente in questo modo di tenere l’Europa in ostaggio? E che il problema ora sia reale lo conferma la dichiarazione rilasciata dal ministro degli Esteri e vice-premier, Antonio Tajani, al termine del vertice Euromed di Alicante: Ci sono riserve da parte di forze della maggioranza. Quali? In primis, ovviamente la Lega. Anzi, una parte di Lega. Per capirci, quella che fa capo ai due noti economisti di riferimento e non certo al ministro Giorgetti. Quella che, per capirci, sta indirettamente gonfiando il correntone bossiano grazie al suo patetico nazionalismo autarchico. E che garantirà a Letizia Moratti una rivincita non da poco fra due mesi esatti. Ma non solo in casa Lega si tifa per le barricate a oltranza. Anche una parte non certo residuale di Fratelli d’Italia ha fatto del no al Fondo salva-Stati un elemento qualificante di politica sovranista, un caposaldo di quella fine della pacchia per l’Europa che il Governo sembrava però aver ridimensionato nei fatti. E a tempo di record.
Insomma, si scherza con il fuoco unicamente a difesa di un’altra, ennesima bandierina. Per difendere la quale, ormai, si rischia però di sprofondare nel ridicolo. In ampi strati della maggioranza, infatti, si vorrebbe sostituire all’alibi tedesco – ormai decaduto – quello croato, stante l’ingresso nell’euro e nell’area Schengen dal 1 gennaio che obbligherà il Parlamento di Zagabria a esprimersi esso stesso sul Mes. Di fatto, garantendo all’Italia qualche altra settimana di rimpiattino. E un calcione al barattolo che Bruxelles, già di suo nervosa per lo scandalo delle mazzette del Qatar, potrebbe non gradire affatto. Perché ora i nodi stanno venendo al pettine. E con un livello di densità degno dei dreadlocks di Bob Marley e Peter Tosh messi insieme.
Questo grafico mostra il trend della liquidità in eccesso nel sistema bancario europeo a inizio 2023, stante l’annuncio da parte degli istituti di credito di 447 miliardi di early repayment dei prestiti Tltro nella finestra del mese in corso. Dinamica che porterà il totale dei rimborsi anticipati a 744 miliardi e farà calare l’outstanding a soli 1.370 miliardi in tutta l’eurozona. Il tutto alla vigilia di una recessione ormai scontata. E di una gelata del credito già temuta e annunciata da tutti, Sole24Ore e Corriere in testa.
Insomma, liquidità in calo per le banche, cordoni della borsa che si stringono precauzionalmente per prestiti, fidi e mutui a famiglie e imprese e soprattutto timori per eventuali interventi su requisiti di riserva e accantonamenti da parte dell’Eba. La tempesta creditizia perfetta. Se poi spuntasse all’orizzonte il prodromo di un nuovo blitz in sede europea sul tetto alle detenzioni di debito domestico degli istituti di credito, ciò che teme silenziosamente Antonio Tajani, game over. Perché in un Paese come il nostro, dove le banche (e le assicurazioni) operano storicamente come prestatore di ultima istanza del debito pubblico in ossequio al famoso e famigerato doom loop, di fatto quella dinamica sui fondi Tltro rappresenta un altro, enorme drenaggio di potenziali impieghi verso l’economia reale.
Che fare? Ecco la seconda dinamica sotto osservazione: le stesse fonti che paiono intenzionate a far morire il Paese sulla linea Maginot di opposizione al Mes, di fatto auspicano una via giapponese all’autarchia debitoria. Ma non potendo Bankitalia operare come la Bank of Japan (grazie al Cielo), le opzioni sono due. Primo, uscire dall’euro. Mossa furbissima che vedrebbe il nostro spread salire a 2.000 punti base il giorno seguente, stante il backstop della Bce che rappresenta l’unico incentivo alla detenzione di Btp e Bot. L’unico, rendimenti scuda-inflazione compresi. Secondo, unire una terza componente al corpaccione distorsivo e clientelare del doom loop: dopo appunto l’Eurotower e il sistema bancario-assicurativo domestico, i contribuenti. Il signor Rossi, insomma. E guarda caso, sul tavolo del Tesoro ci sarebbe una proposta di fidelizzazione dei risparmiatori italiani, un bonus Btp che nella proposta originaria presentata proprio dalla Lega si sostanzierebbe in una detrazione Irpef fino al 30% per chi detenga i titoli di Stato a scadenza, il tutto destinato a persone fisiche residenti in Italia e incorporato in una emissione ad hoc e limitata a 100 miliardi di euro.
Tradotto, a Roma sanno che la gelata creditizia sarà pesantissima. E – pur scontando in maniera decisamente poco responsabile una Bce che, nonostante le bizze sul Mes, continui comunque a garantire il suo backstop di deterrenza attraverso la minaccia del reinvestimento titoli – ecco che il Governo sovranista punta dritto sul parco buoi. E con modalità a strascico, quantomeno rispetto alle precedenti emissioni retail: perché solo ipotizzare la carta della mega-detrazione Irpef equivale a farsi cogliere mentre si raschia il fondo del barile. Non male dopo due mesi scarsi di Governo. E un profilo di disperazione operativa che l’Ue certamente non faticherà a cogliere. Ma, peggio ancora, c’è il rischio che sia il mercato a incorporarla. E prezzarla immediatamente, ad esempio se già dopodomani la Bce dovesse inviare una propria risposta all’oltranzismo italiano sul Mes, magari attraverso uno dei proverbiali errori di comunicazione di Christine Lagarde. Parole in libertà o rumors in libera uscita, così facili da ridimensionare a cose fatte e risultato ottenuto. Ma altresì così efficaci nel far capire al destinatario che la ricreazione è finita.
Attenzione, perché in condizioni simili si fa presto a passare dal bonus Btp per incentivare la detenzione di debito alla logica emergenziale dell’oro alla patria. D’altronde, quando il Presidente del Senato e seconda carica dello Stato lancia la geniale intuizione dell’alternanza scuola-caserma, inventandosi la mini-naja volontaria che ti garantisce un esame in più all’università e punteggio maggiore di partenza ai concorsi pubblici, siamo già al libro e moschetto 2.0. Stavolta, però, non starei troppo tranquillo. Perché con i nuovi mutui al 3,23% di tasso, come certificato ieri da Bankitalia, da scherzare e festeggiare c’è poco. Se non si prolunga il superbonus e partono le insolvenze sui crediti, nemmeno la Bce potrà salvarci.
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