L’altro giorno era l’onomastico di Nicola, il mio amico barista, che è di origini pugliesi (manco a dirlo). Appena entrato gli ho fatto gli auguri, lui però era livido: aveva appena ricevuto le bollette di luce e gas e aveva fatto fatica a non svenire. Peccato, proprio ora che l’attività ha ripreso a girare, una stangata così: una doccia fredda.
“Se avessero approvato subito il price cap….” ha sibilato affranto, preparando il mio caffè “….è un problema europeo e loro invece non fanno che perdere tempo”.
Potevo capirlo, ripensando a mia volta alle ultime bollette di casa, e condividevo anche la sua sfiduciata delusione rispetto all’Unione Europea, che da marzo ormai si dilunga piuttosto inconcludente sulle questioni energetiche, con confronti e rinvii snervanti, creando continue quanto inutili aspettative su soluzioni salvifiche perennemente in arrivo, tra cui quella meglio nota come “tetto al prezzo del gas”.
Per una volta avremmo potuto chiuderla subito lì, in pacifico accordo e con la ragione dei giusti. Invece qualcosa non mi convinceva: forse mi sentivo troppo comodo nel prendermela anch’io con un’istituzione superiore che ormai viene richiamata solo per essere biasimata, sia quando agisce, sia quando non lo fa (un problema che diventa europeo spesso sa di “palla in angolo”). O forse semplicemente per il fatto che di solito una vera soluzione non lo è poi così tanto, se diventa essa stessa un rompicapo.
Ad ogni modo, mi tornava in mente l’ormai famoso “TTF” olandese, ultimamente trascurato dalle cronache, e le tante discussioni che ci hanno appassionato a lungo sui possibili antidoti alle impennate iperboliche delle quotazioni del gas. Chiariamo subito due aspetti: (i) in Italia parlare di gas significa parlare a ruota anche di energia elettrica (visto il peso che ancora ha da noi la produzione termoelettrica a gas) e (ii) ci troviamo sicuramente in un momento di disruption senza precedenti, ma il fenomeno degli aumenti del prezzo delle commodity energetiche aveva cominciato a manifestarsi pesantemente già prima.
L’Europa su quelle discussioni si è divisa per mesi e solo in questi giorni dovrebbe raggiungere un faticoso accordo, o meglio un “non disaccordo”, che non sembra soddisfare molti: a prima vista, infatti, appare come un “topolino” abbastanza complicato e poco efficace, partorito troppo tardi, nonostante il quadro emergenziale delle decisioni da prendere.
Dunque come dare torto a Nicola e al suo risentimento nei confronti dell’Europa? Perdipiù quando da noi, nel frattempo, abbiamo dovuto fare “miracoli” da soli per aumentare la disponibilità e lo stoccaggio di gas, persino richiamando in servizio le centrali a carbone e chiedendo soldi indietro a chi già produce energia rinnovabile.
Ecco però il retropensiero: non è che ci siamo dedicati ai sintomi più che alla patologia? Ci siamo cioè concentrati sull’Aspirina, nel tentativo di far scendere subito la febbre, o addirittura sul termometro stesso (il “TTF”), più che alla terapia di base?
Con il lancio del Piano “RepowerEu”, già in maggio, la Commissione Europea aveva puntato dritta al decollo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica (fissando target ambiziosi e dettando nuove norme di supporto), inquadrate ormai senza esitazioni come soluzioni prioritarie per la diminuzione dei prezzi delle bollette e per la sicurezza energetica dei Paesi, oltre che per la decarbonizzazione. Particolare pressione, attraverso una specifica “Raccomandazione”, era stata esercitata al fine di semplificare e velocizzare le procedure autorizzative di settore e alcune best practice erano state segnalate in tal senso (es. le cosiddette “zone di accelerazione”, il silenzio-assenso, lo sportello unico, il coinvolgimento dei cittadini): peraltro lo stesso Parlamento Europeo ha recepito in questi giorni molte di tali segnalazioni nell’ambito del processo di approvazione della rinnovata Direttiva. Proprio per non attendere il lungo decorso di questo processo, il Consiglio, a fine ottobre, aveva invocato ulteriori misure, più immediate, per accelerare lo sviluppo su larga scala delle rinnovabili.
A seguito di ciò, a inizio novembre, la Commissione ha predisposto un provvedimento di notevole portata, sul quale si è registrata una rapida convergenza di opinioni, ma che purtroppo è rimasto in attesa di approvazione da parte del Consiglio, intrappolato come “ostaggio” nelle schermaglie tra Stati membri. Se ne parla poco, ma è uno snodo che potrebbe costituire il tanto atteso “cambio di passo” per il settore delle rinnovabili: si tratta in pratica della dichiarazione di uno stato di emergenza in Europa, per almeno 18 mesi.
Questo era il grimaldello che cercavo per riaprire la discussione con Nicola e spezzare una lancia a favore dell’Unione, che le idee chiare, come vedremo, su questo fronte sta finalmente dimostrando di averle: dovevo solo cercare di giocare bene la mia carta, con lui è facile farsi demolire.
Partiamo da una premessa generale: l’art. 122 del Trattato è il massimo grado di intensità normativa a disposizione dell’UE per decidere d‘imperio e intervenire con poteri sostitutivi, sia pur nel rispetto del principio di proporzionalità: ciò nei casi di “gravi difficoltà”, come “calamità naturali o altre circostanze eccezionali che sfuggono al controllo” degli Stati membri. Solo in altre pochissime situazioni, a parte quella attuale, si è fatto ricorso alla gittata di questo articolo: quella della crisi finanziaria successiva al 2008, per creare un fondo “salva-Stati” (il “MES”) e poi quella della crisi sanitaria dovuta alla pandemia (per creare prima il fondo “SURE” e poi quello “Next Generation EU”). In questi casi sono state messe in campo misure straordinarie, senza precedenti, “in uno spirito di solidarietà” tra Paesi e secondo il principio di sussidiarietà: cioè l’UE interviene con urgenza e con effetto immediato laddove un’azione coordinata a livello comunitario risulti più appropriata per raggiungere gli obiettivi prefissati, sul presupposto che i singoli “Stati membri non siano in grado di raggiungerli adeguatamente”, da soli.
Stiamo parlando praticamente del “bazooka” che l’UE può imbracciare per i casi estremi.
Poi due premesse specifiche, legate alle rinnovabili: ora viene anche riconosciuto chiaramente che (i) lo sviluppo su larga scala delle rinnovabili “è necessario” e urgente per “uscire in maniera definitiva dall’emergenza attuale” e ridurre “immediatamente e strutturalmente” il ricorso ai combustibili fossili e (ii) che la lunghezza e la complessità delle procedure autorizzative è il maggiore freno a tale sviluppo. La già nota questione delle lungaggini amministrative appare quindi ora ancora più perniciosa, in un nuovo scenario di lotta all’inflazione e alla dipendenza energetica, oltre che di difesa dell’ambiente e della salute e sicurezza delle persone.
Dunque parole forti e incontrovertibili: le rinnovabili oggi come i vaccini pochi mesi fa? Più o meno. Fatto sta che il cambio di marcia ora appare netto, almeno a occhio: andiamo più nel dettaglio.
Intanto troviamo un appello: “per ottenere il pieno beneficio di ogni semplificazione di procedure autorizzative rimane essenziale assicurare organici e competenze adeguate agli Enti che rilasciano i permessi e alle Autorità preposte alle valutazioni ambientali”.
A seguire misure speciali e mirate, facilmente implementabili a livello di normative nazionali, in favore di alcune tecnologie o tipologie di progetti: (i) solare su tetto, (ii) solare di piccola taglia, (iii) ripotenziamenti e (iv) pompe di calore.
Su tutto un principio generale, pesante e dirimente. Alla produzione di energia rinnovabile viene riconosciuta la “presunzione” di essere “di interesse pubblico prevalente e a servizio di salute e sicurezza pubbliche“: in altre parole, la promozione ad una classe superiore di priorità per lo sviluppo, la costruzione e l’esercizio degli impianti, incluse le opere per lo stoccaggio e per la connessione alle reti.
Quindi accelerazione a tutto campo: accorciamento di tempi, procedure in deroga, semplificazioni, alleggerimenti, anche se a valere solo sulle nuove domande di autorizzazione. Ma la novità più decisiva: la parola “prevalente”.
La produzione da fonti rinnovabili in Italia è infatti già considerata ex-lege “di interesse pubblico, urgente e indifferibile” sin dal 2003: grazie al nuovo assetto emergenziale essa ora prevarrà anche di diritto all’atto del suo contemperamento con gli altri interessi legittimi (tipicamente soggettivi), salvo che ci sia una “chiara evidenza di pregiudizio nei confronti dell’ambiente”, che non si possa mitigare o compensare. Si tratta cioè di una presunzione comunque relativa, ovvero confutabile in giudizio, ma almeno viene finalmente sancito il ribaltamento dell’onere della prova, attraverso una assodata “presunzione di innocenza”, condizionata all’impegno su idonee misure di prevenzione, controllo e compensazione dei possibili impatti. In tema di biodiversità e di protezione delle specie, in particolare, viene specificato come debba intendersi questo “ribaltamento condizionato”.
Non sono un giurista, ma questa volta sembra ci si trovi davvero di fronte ad un passaggio “storico”.
Tutto bene quindi? Ero pronto per ingaggiarmi diligentemente con Nicola, a difesa dell’Europa, questa volta finalmente avviata in marcia veloce verso l’obiettivo finale. Poi di nuovo un retropensiero: il paesaggio.
La maggior parte dei casi di stallo nei processi autorizzativi per i progetti di energia rinnovabile riguarda da noi la non facile mediazione tra due interessi pubblici di massimo rango: quello della tutela dell’ambiente e quello della tutela del paesaggio. E’ su questo che di solito viene richiesto (non di rado anche strumentalmente) l’intervento dell’ente giudicante, che viene chiamato a muoversi da “equilibrista” sul terreno del principio di proporzionalità. Ed è su questo che il nuovo regolamento emergenziale UE non si pronuncia, anzi cita espressamente la “prevalenza” del pubblico interesse delle rinnovabili nei singoli casi di composizione con altri interessi legittimi: d’altra parte non poteva essere altrimenti.
Dunque ci sarà ancora non poco da dirimere e vedremo quanto questo impatterà sull’efficacia finale del nostro provvedimento. Molto dipenderà comunque dalle modalità con cui esso verrà assorbito e incorporato nella nostra legislazione nazionale e più ancora dalla prassi con cui le amministrazioni locali lo applicheranno sul campo: sappiamo infatti che proprio nella prassi amministrativa si annida la più pervicace resistenza ai cambiamenti e alle semplificazioni stesse. Sicuramente risulteranno incisive almeno le norme speciali previste per i quattro casi di cui parlavamo, laddove però lo scenario ipotizzato in Italia per il 2030 assume una quota sensibilmente più marcata delle installazioni (solare ed eolico) di grande taglia.
Poco male, è comunque una svolta ed è la scossa che ci serviva: un ultimo ripasso al volo della versione finale del provvedimento, prima di lanciarmi nel confronto con Nicola (che per la verità credo considerasse già chiusa la partita). Un momento: ora noto alcuni passaggi insidiosi che prima mi erano sfuggiti, sull’onda dell’entusiasmo.
La “prevalenza“ sembra ora riconosciuta solo in tema di biodiversità e di protezione delle specie e in più gli Stati membri possono decidere di limitarne ulteriormente il campo di applicazione: eppoi “possono escludere per giustificati motivi…”, “possono applicare una soglia più bassa…”, “possono restringere….”, “possono rigettare…”, ragioni di “protezione del patrimonio storico o culturale, di difesa o di sicurezza nazionale…” o delle reti, “a condizione che…”, “tranne che…”, “fatto salvo…”. Insomma, qua e là, troppi preoccupanti squarci di discrezionalità e di limitazioni, che rischiano di minare la perentorietà del provvedimento, nato in un contesto di eccezionalità, e alla fine di incidere sulla sua stessa autorevolezza. Non convincenti e poco invitanti appaiono perciò le nuove generiche aperture ai legislatori nazionali, qualora volessero accorciare ulteriormente i tempi dei procedimenti oppure applicare le nuove norme, a determinate condizioni, anche alle autorizzazioni ancora in corso di rilascio. Come poco consolante risulta pure il timido accenno alla possibilità per gli Stati membri di “considerare” l’applicazione della “prevalenza” anche all’ambito paesaggistico.
Speriamo bene. Eppure all’inizio mi sembrava di trovarmi di fronte ad un nitido apripista lungo la strada maestra: che non sia invece un altro “topolino” in arrivo dal “bazooka” della UE.
A quel punto mi sentivo ormai meno sicuro e ho rinunciato a ribattere: senz’altro avrò altre occasioni di difendere l’Europa a spada tratta, quel giorno non me la sono sentita. E poi, come potevo spiegare a Nicola che non sarebbe cambiato niente (o quasi) nelle sue bollette, se anche ci fosse già stato il price cap scelto dall’Europa: non mi avrebbe creduto.
“E grazie per gli auguri!” mi ha sorriso lui all’ultimo, vedendomi andare via un po’ scornato: niente da fare, un altro scacco matto per lui.