La situazione in Perù si va facendo sempre più drammatica con il trascorrere del tempo: dopo la destituzione, l’arresto e la condanna dell’ex Presidente Pedro Castillo, accusato non solo di essere a capo di una organizzazione dedita alla corruzione ma pure del “colpo di Stato di 120 minuti” da lui eseguito dopo che le Camere avevano votato la sua destituzione, in molte zone del Paese sono scoppiati tumulti e proteste in sua difesa, che alla fine, per l’intervento delle Forze dell’ordine, hanno provocato 18 morti.
Oltretutto bisogna aggiungere che il Parlamento peruviano ha in pratica rifiutato la proposta dell’attuale Presidente Dina Boluarte (subentrata a Castillo di cui era Vice) di organizzare elezioni anticipate, fatto che avrebbe in pratica avallato quanto l’ex Presidente aveva deciso sulla dissoluzione del Parlamento stesso e l’attuazione immediata di comizi elettorali, ragione delle violentissime proteste che sono poi scoppiate.
A seguito di ciò ben due Ministri dell’attuale Governo hanno rassegnato le dimissioni, mentre le manifestazioni hanno raggiunto nella zona andina (la più “indigena” del Paese) una gravità estrema con il blocco di 750 turisti nella zona prospiciente il Machu Picchu che in pratica sono stati presi in ostaggio da gruppi di lotta armata nella località di Aguas Calientes e sulla cui sorte ancora non si sa nulla, anche per il mancato intervento delle diplomazie dei vari Paesi di appartenenza dei turisti. Oltretutto l’aeroporto del Cuzco è chiuso da una settimana e in pratica non vi sono nemmeno mezzi per accompagnare le persone in luoghi sicuri, visto che sia gli autobus privati che la famosissima ferrovia andina sono stati bloccati dai manifestanti.
Di certo se l’iniziativa di Boluarte fosse stata accolta, ciò avrebbe permesso di anticipare sì le elezioni nel dicembre del prossimo anno, ma anche una nomina ufficiale della Presidente nel 2024, che adesso (secondo l’opinione di molti) si vedrebbe costretta a dimettersi.
Situazione caotica, perché in questo caso la legge peruviana dispone che l’incarico venga assunto dal Presidente del Parlamento, Josè Williams, e in caso di suo rifiuto la carica verrebbe presa dalla Presidente della Corte Suprema, Elvia Barrios, che sarebbe ovviamente obbligata a convocare elezioni anticipate.
La sorte di Pedro Castillo, dopo il suo tentato “golpe” del 7 dicembre, è per una sua condanna attuale a 18 mesi, anche per poter procedere a indagini profonde sull’accaduto e poi processato definitivamente con l’accusa di ribellione.
Credo che questa situazione ricordi molto da vicino quanto accaduto 3 anni fa in Bolivia e riporti le conclusioni che si possono trarre sull’operato di personaggi politici eletti alla Presidenza di vari Paesi e appartenenti a vari “fronti rivoluzionari” che poi alla fine, prima o poi, cadono in accuse di corruzione poi confermate da processi contro i quali i colpevoli si travestono da vittime della persecuzione del “lawfare” già descritta: cosa che poi in pratica spinge movimenti appartenenti all’area politica degli accusati a promuovere ribellioni e incidenti vari, nei quali inevitabilmente l’intervento della polizia o dei militari viene interpretato come repressione del potere di stampo liberale e di destra.
Già citavamo il fatto che, in ambito latinoamericano, quando la Presidenza viene assunta da personaggi sempre di area di sinistra ma onesti (e contro i quali ovviamente la giustizia non può elevare nessuna accusa) ovviamente la “persecuzione” del “lawfare” non si mette in moto, ma è pure curioso constatare il fatto che, nel nostro recente europeo “Qatargate” i presunti responsabili, dopo indagini durate più di un anno e compiute in gran segreto dalla giustizia belga, siano stati arrestati o accusati senza che si gridasse alla persecuzione nei loro confronti.
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