Tra Ong e Governo è guerra aperta, ma sullo scontro oggi prevale l’astuzia. E mentre le organizzazioni non governative mettono in campo apparati di soccorso sempre più efficienti e costosi, il Viminale prepara un codice di condotta per le Ong da mettere a punto entro fine anno per poi essere approvato con un decreto in Consiglio dei ministri.
Dovrebbero esserci, stando alle anticipazioni, l’obbligo per le navi Ong di chiedere il porto di approdo subito dopo il primo intervento di salvataggio, senza rimanere al largo in area Sar, e l’obbligo per gli immigrati, appena saliti a bordo, di dichiarare subito il Paese al quale intendono chiedere protezione internazionale. Sul fronte europeo, invece, non si registrano novità, e il dossier migratorio dovrà essere aggiornato a febbraio.
“Le Ong hanno come preciso obiettivo quello di mettere in difficoltà l’attuale maggioranza” spiega al Sussidiario Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e InsideOver. Il decreto potrà essere un primo passo, ma il vero problema rimangono le partenze. E qui la strada è molto più lunga.
Il tema migratorio è uscito dalle prime pagine: prevalgono manovra, price cap e Qatargate. È rientrata l’emergenza oppure l’emergenza si è normalizzata?
È subentrata, tra le altre cose, anche la stagione autunnale vera e propria. Il mare è stato mosso per parecchi giorni nel canale di Sicilia e per questo non sono stati registrati nuovi sbarchi. Questo ovviamente ha contribuito a rendere meno evidente il problema che però, in vista dei prossimi mesi, resta molto grave.
Fausto Biloslavo ha documentato un’azione sistematica di diversi navigli: Life Support per Emergency, Rise Above in tandem con Sea Eye 4, Astral per Open Arms. Un modus operandi che più organizzato di così non potrebbe essere. Cosa sta succedendo nel Mediterraneo centrale?
C’è una battaglia politica inaugurata con l’arrivo a Palazzo Chigi di un governo che ha una linea molto differente, per quanto riguarda l’immigrazione, rispetto a quella tenuta dal 2019 in poi. Le Ong, in particolare, hanno come preciso obiettivo quello di mettere in difficoltà l’attuale maggioranza, provando a inviare quante più navi possibili e ingaggiare così un importante braccio di ferro con Roma. Uno scenario non così dissimile da quello visto nel biennio 2018-2019, quando al Viminale sedeva Matteo Salvini, attuale vicepremier.
Come commenti le anticipazioni del decreto di regolamentazione delle Ong in fase di scrittura? La direzione è quella giusta?
Ci sono alcuni elementi di cui si parlava già da anni, come ad esempio quella di far indicare ai migranti ancora presenti sulle navi le loro intenzioni su dove depositare la domanda di asilo. Il meccanismo delle quote non ha funzionato prima e difficilmente funzionerà in futuro, quindi questa potrebbe essere una strada. Occorrerà vedere come materialmente tutto questo verrà applicato se approvato.
“Fermare le partenze e difendere i confini esterni” ha ripetuto la Meloni. È l’obiettivo che ha rilanciato sui tavoli europei. Il decreto allo studio del governo va in questa direzione o non è sufficiente?
Intervenire quando ancora i migranti sono a bordo delle navi, come detto, potrebbe essere un primo passo. Per andare oltre e spostare l’obiettivo al momento in cui i migranti sono ancora sull’altra sponda del Mediterraneo, l’Italia da sola può senza dubbio fare ben poco.
Che cosa servirebbe?
Qui occorre una strategia europea e Roma deve lanciare una specifica proposta in tal senso a una Commissione che, per il momento, non sembra aver dato precisi segnali. Nonostante anche a Bruxelles l’argomento già da tempo non sia più tabù.
A tuo avviso il governo Meloni è stato preso in contropiede dalla difficoltà del problema migratorio nel Mediterraneo?
Credo si aspettassero questa situazione, sapevano che le Ong avrebbero ingaggiato subito una battaglia politica. Più che altro ho l’impressione che il governo sia intervenuto ricalcando il modello del biennio 2018/2019, bloccando subito i via libera agli sbarchi delle navi umanitarie. Ma ripetere quanto già fatto in precedenza forse non è stato un buon viatico, perché nel frattempo sono cambiate molte cose sia a livello politico che a livello di norme. E le Ong si sono attrezzate, anche sotto il profilo giudiziario, per parare i colpi provenienti da Roma. Da qui le difficoltà iniziali delle prime settimane di governo.
Due giorni fa il sottosegretario Molteni ha detto che finora (nel 2022) le Ong hanno portato in Italia 13mila migranti. Che contribuissero solo per una parte, il 16% circa, degli arrivi totali, si sapeva. Per i restanti come facciamo?
Dovrebbero entrare in gioco i rapporti diretti con i Paesi di partenza. Molti dei migranti che sbarcano autonomamente sono tunisini ed egiziani, cittadini quindi di Stati non in guerra e con governi con cui abbiamo dei rapporti diplomatici importanti. Roma deve parlare con loro e chiedere specifiche garanzie sul ridimensionamento dei flussi migratori da Tunisia ed Egitto.
“Non mi sento di escludere fino in fondo che possa esserci una regia più alta che risponde a disegni più ampi” ha detto ieri al Foglio il ministro Piantedosi, smorzando però le sue stesse accuse (“Ma in Italia si finisce presto col lasciarsi suggestionare dalle trame occulte”). Quali disegni e di chi?
Come detto dal ministro stesso, in assenza di dati chiari potrebbe risultare un po’ forzato lanciarsi in supposizioni ben specifiche. Certo che a livello politico ci sono alcuni Paesi, come ad esempio la Germania, che danno fondi pubblici alle Ong, accordando loro un importante credito politico. Questo è un fatto.
E perché lo fanno?
Si possono fare mille ipotesi. La più concreta è che a Berlino, come a Parigi, lo status quo attuale che vede le navi sbarcare direttamente in Italia vada più che bene.
(Federico Ferraù)
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