Ho letto con piacere l’articolo di Gianni Varani a proposito della decisione del Comune di Bologna di aumentare i fondi a disposizione delle scuole paritarie della città. Credo che un dibattito come quello apertosi a Bologna nei giorni scorsi su questo tema abbia portata tale da sollevare giustamente un interrogativo oltre i confini del capoluogo emiliano.
La disputa, infatti, si è subito spostata dal tema dell’aumento dei fondi, necessari a far fronte agli aggravi delle bollette sopportati dalle scuole, al tema della legittimità degli aiuti pubblici alle paritarie.
Si sono scontrati due modelli amministrativi e di gestione della cosa pubblica. Da una parte una visione basata sulla sussidiarietà, autenticamente liberale e capace di valorizzare l’iniziativa proveniente dalla società civile, integrandola nell’azione pubblica. Dall’altra, una visione statalista, ormai superata, che vorrebbe tenere in capo allo Stato tutte le funzioni di interesse pubblico e che si percepisce in competizione con ogni iniziativa dal basso. La posizione che abbiamo tenuto come Confcooperative Bologna non è stata quella corporativa di chi voleva ad ogni costo difendere le scuole paritarie gestite da realtà cooperative. Tutt’altro.
È un fatto che in città le scuole paritarie generino valore e opportunità di lavoro di qualità – importanti oggi più che mai –, ma abbiamo cercato di guardare oltre, avviando una riflessione su democrazia e pluralismo educativo. È necessario comprendere che se facciamo della scuola un monopolio di Stato a perderci è la società nel suo complesso. La pluralità degli approcci educativi e pedagogici che le scuole paritarie permettono di realizzare è un contributo di rilievo al bene comune; dunque, si configura come interesse di carattere generale. Le paritarie rispondono a esigenze profonde della società, esigenze che si radicano in opzioni culturali e si esprimono attraverso le scelte educative delle famiglie.
Sono infatti i genitori a scegliere le scuole paritarie, anzi a Bologna è evidente come molto spesso le paritarie siano nate proprio dall’iniziativa di famiglie che intendono dar vita a un modello educativo che rispecchi la propria cultura e la propria sensibilità. Ciò non toglie che le scuole paritarie debbano poi impegnarsi in programmi scolastici e obiettivi educativi che convergono con quelli previsti per le statali. In questo modo, il sistema scolastico si coordina, conservando il pluralismo degli approcci didattici e pedagogici e valorizzando la collaborazione tra istituzioni pubbliche e famiglie nel difficile compito di educare.
La democrazia, intesa come dialogo delle differenze e strumento di realizzazione del miglior bilanciamento tra gli interessi, non può che trarre energia dall’esistenza delle scuole paritarie al fianco delle scuole statali.
L’errore fondamentale sta nel rappresentare le scuole paritarie e le scuole statali in rapporto di competizione, quando la relazione ha carattere collaborativo e tende a integrare un medesimo sistema. D’altronde, il peso delle paritarie sulle casse pubbliche è esiguo, la gran parte delle spese è sopportata direttamente dalle famiglie che ne preferiscono i modelli educativi e che certo non si sottraggono dalla contribuzione per le scuole statali.
Se a Bologna non si fosse riconosciuto un aumento del contributo pubblico alle paritarie, ciò avrebbe significato lasciare sole queste realtà a fronteggiare gli aumenti dei costi energetici, che in questo periodo non è possibile scaricare sulle rette pagate dalle famiglie, già a loro volta in difficoltà per le bollette. Risolvere la questione appellandosi al referendum consultivo, tenutosi a Bologna nel 2013, è erroneo e mostra il volto illiberale di una certa idea di democrazia, quella che prevede la prevalenza della maggioranza, al posto del bilanciamento di tutti gli interessi in gioco, compresi quelli delle minoranze che vanno tutelate proprio perché le loro preferenze non rispecchiano il sentire dei più. Ciò vale in tutti gli ambiti, ma acquista un’importanza particolare quando parliamo di educazione, che è sempre impronta culturale e formazione della personalità.
L’opzione fondamentale è tra una democrazia statalista, che mal sopporta l’iniziativa dei gruppi sociali, e una democrazia che sposa il paradigma della sussidiarietà, accentando e valorizzando la società civile e le sue forme organizzate, traendone vitalità.
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