“CANCEL CULTURE” ALL’UNIVERSITÀ DI STANFORD: IL LINGUAGGIO “PERICOLOSO”
La ‘cancel culture’ colpisce ancora negli Stati Uniti: parole come ‘americano’, ‘utenti’, ‘picnic’, o anche espressioni come “prendere due piccioni con una fava’ sono pericolose e per questo sono state bannate dall’Università di Stanford, una delle più prestigiose del Paese. No, non stiamo impazzendo a ridosso delle feste: la notizia che arriva dal “The Times” e che riguarda una delle più importanti università del Paese, nel pieno cuore della Silicon Valley in California, non fa che continuare il “rapporto” sempre più complicato dei tempi moderni tra il linguaggio e la realtà. Tra la comunicazione e la verità. Nel tentativo di garantire che nessun essere umano o animale sia turbato dai siti web dell’Università di Stanford – testuale riferimento dell’ateneo che veramente pensa che qualche animale possa realmente consultare abitualmente le pagine online di Stanford… – gli amministratori del college hanno lanciato l’iniziativa per eliminare il linguaggio «dannoso» e «pericoloso» da tutte le pagine online dell’università.
Non si può usare ad esempio il termine “utente” in quanto occorre evitare che qualcuno possa sentirsi paragonato ai “tossicodipendenti”, altra parola però che andrebbe abolita secondo il criterio Stanford: «la parola tende a definire le persone solo in base alla loro età», ma anche tende a definire «le persone in base a una sola delle loro caratteristiche», così come «si banalizzano le esperienze delle persone che hanno a che fare con problemi di abuso di sostanze». Il linguaggio viene definito dannoso e così il dipartimento informatico sta provvedendo ad un’ampia opera di censur…, ehm volevamo dire “restyling” del materiale online.
UNIVERSITÀ STANFORD, CANCELLARE IL LINGUAGGIO E LA REALTÀ
La “cancel culture” nata con l’impulso positivo di intervenire anche sul linguaggio corrente per eliminare ogni stortura e potenziale insulto offensivo per l’altro, ora sembra da tempo aver superato il segno non solo per quanto riguarda il linguaggio ma per la realtà stessa. Tra i diversi critici all’iniziativa dell’Università di Stanford contro il linguaggio dannoso, c’è la scrittrice Joyce Carol Oates: «persino l’espressione “trigger warning”, intesa a proteggere gli inconsapevoli da un linguaggio o da immagini che potrebbero trovare angoscianti, è ora proibita». Non solo, la stessa scrittrice nota come la parola “picnic” sia stata censurata dall’ateneo in quanto evocherebbe «in alcune persone, il linciaggio di persone di colore negli Stati Uniti»; ma la parola stessa “linciaggio” invece non sia toccata da censura.
La folle rincorsa ad essere più inclusivi dello stesso “incluso” vede poi un capitolo imponente in merito al tema “animali”: “scuoiare un gatto” non potrà più essere usato sulle pagine interne e i materiali dell’Università (e quando mai lo si userebbe?!), così come “fustigare un cavallo morto” o addirittura “prendere due piccioni con una fava”. Il motivo? «Queste espressioni normalizzano la violenza contro gli animali», spiega l’iniziativa di Stanford citata dal “The Times”. E potremmo continuare all’infinito mostrando tutte quelle parole o espressioni che d’improvviso sono state censurate perché considerate “pericolose”: il lungo elenco ha suscitato non poca derisione negli States, tanto che il “Wall Street Journal” ha commentato come il college «sta rendendo la vita difficile ai parodisti, trasformando la realtà in qualcosa di simile a un’opera di finzione satirica». Diversi cittadini americani lamentano di non potersi più definire “americani” (da sostituire con “cittadini Usa”, ndr) secondo Stanford: questo perché la lista “perbenista” ritiene che quel termine «si riferisce spesso solo a persone provenienti dagli Stati Uniti, insinuando così che gli Stati Uniti sono il Paese più importante delle Americhe (che in realtà è composto da 42 Paesi)». Sebbene l’ateneo abbia cercato di difendersi dicendo che quelle linee guida sono destinate ad uso interno, è inevitabile che la polemica sia sorta e abbia divampato: il che in realtà ci rende lieti, significa infatti che ancora per un po’ la realtà prova a “ribellarsi” all’imposizione (sempre dall’alto) di in un linguaggio solo a parole “inclusivo”, ma nei fatti decisamente censorio/persecutorio.