Il popolo unito non sarà mai vinto

Dalle invasiones di Quito una piccola esperienza ha seminato qualcosa che col tempo ha cambiato molte persone ed è ora un esempio

Stefania Famlonga, una cooperante dell’Avsi presente a Quito da 17 anni, racconta della presenza nelle invasiones, quartieri periferici poveri e soggetti a criminalità. L’approccio del lavoro, basato sull’incontro con gli abitanti delle invasiones, li rende protagonisti; la costruzione di risposte dal basso, in modo sussidiario, da parte delle comunità e reti di persone genera risultati sorprendenti e inattesi.

A Quito circa il 20% della popolazione vive in invasiones, quartieri periferici sorti a partire dagli anni ’80 in seguito a vere e proprie occupazioni spesso violente di territori da parte di gruppi di persone provenienti dalle zone rurali e molto povere di tutto l’Ecuador, in cerca di uno spazio su cui costruire la propria casa e da lì iniziare una vita differente nella capitale. Sono quartieri caratterizzati per la scarsità di servizi basici e soprattutto per la microcriminalità e la violenza anche nei rapporti più quotidiani.

All’inizio del 2005 abbiamo cominciato a operare in 5 quartieri dell’estrema periferia nord-ovest della città, popolati da circa 50.000 abitanti. Insieme ad Amparito, donna afro-ecuadoriana, 52 anni, allora separata e madre di 3 bambini di cui 2 in Cielo, conosciuta in una delle invasiones più famose della città di Quito e ora mia grande amica, abbiamo dato inizio alle prime attività educative legate al Sostegno a Distanza di AVSI. Poi i finanziamenti della Cooperazione Italiana, la Cooperazione spagnola e la Conferenza Episcopale Italiana in pochi anni hanno permesso uno sviluppo organico delle attività a partire dai bisogni che si presentavano man mano che i bambini crescevano.

Da allora fino a oggi altre 30 persone circa provenienti da quei quartieri si sono coinvolte nel lavoro della Fundación, mettendosi a studiare e preparandosi per prendere sul serio innanzitutto la propria vita e poi aiutare altri a farlo.

Per le mamme spesso molto giovani e con scarsa coscienza di sé, abbiamo dato vita al programma Pelca (Preescolar en Casa), poi abbiamo aperto il nostro asilo Ojos de Ciel, poi nella misura in cui i bambini diventavano grandi un programma di accompagnamento ai genitori e ai figli attraverso formazione, imprenditorialità e identità culturale per i primi e laboratori di arte, cucina, ballo e verde per i secondi. E, per ultimo, abbiamo aperto spazi dedicati ai giovani secondo le 3 modalità di accompagnamento: studio, lavoro e tempo libero, a secondo dell’età dei bambini che coinvolgono, che hanno accompagnato in 17 anni più di 9.000 persone e attualmente ne interessano circa 2.000 tra genitori e figli. C’è così una rete di rapporti tra la persone che consente loro di cambiare: le donne uscendo dalla violenza, educando i propri figli con maggiore consapevolezza, avviando piccole attività o riprendendo gli studi, i bambini crescendo in interessi e apprendimenti, i giovani in desideri e opportunità.

Lo testimonia Sandra, 50 anni, 5 figli di cui 2 piccoli, da 10 anni ha incontrato Fundación Sembrar, una piccola ong ecuadoregna nata da un progetto della Fondazione AVSI:

“In questi anni ho ricevuto accompagnamento da coloro che formano la Fundación (così ci chiamano nel quartiere) con i miei figli. Sono separata da mio marito e quando è iniziata la pandemia sentivo che dovevo fare qualcosa di mio per sostenere la mia famiglia. Voi avevate seminato qualcosa in me che in quel momento è fiorito. Mia madre che amo molto per la valentia che sempre ha dimostrato nella vita sacrificandosi per noi figli, era rientrata dalla Spagna dopo tanti anni di lavoro lì come migrante perché la situazione negli ultimi tempi era molto cambiata. In Spagna aveva imparato a cucinare e così ci siamo avvicendante in questo piccolo ristorante a gestione familiare.

Poi la Fundación ci ha accompagnato, Roberto è venuto tante volte qui a casa e ci diceva ‘perché non provate a fare così?’ sempre con molta discrezione e senza imporre nulla; lo scorso anno nel concorso della Fundación abbiamo vinto un piccolo capitale di ‘avviamento’ con cui abbiamo comprato una cucina più grande e con il concorso di quest’anno un freezer. Io sono molto grata per quanto la Fundación ha fatto con me”.

Non siamo rimasti soli: in questi anni si sono coinvolte con il nostro lavoro diverse persone delle classi sociali più abbienti di Quito così come imprese e organizzazioni che operano nella città. Tutti vedono nel nostro lavoro una novità perché i protagonisti di questo lavoro sono gli abitanti delle invasiones. Forse per questo alcune organizzazioni private ci hanno chiesto di aprirci ad altri territori dell’Ecuador per portare ad altri le conoscenze che in questi anni abbiamo capitalizzato soprattutto rispetto al lavoro educativo con le famiglie e allo sviluppo delle soft e charácter skill nei giovani.

Ho lasciato l’Italia desiderando portare nel mondo la ricchezza di vita che avevo ricevuto. Perciò, dopo tutti questi anni, il motivo di grande soddisfazione è quello di vedere la gente cambiare e crescere. I miei collaboratori sono cresciuti, tanti hanno assunto responsabilità nell’opera e il mio lavoro è cambiato. Il mio compito ora è servire quello che il buon Dio ha generato in questi anni aiutando tutti a tenere alto lo sguardo più dal basso che dall’alto. Per me che accompagno queste persone da ormai 17 anni è l’avverarsi continuo di quanto ho imparato da don Giussani e cioè che “la persona rinasce in un incontro”, quando a sua volta è costantemente impegnata con la propria vita e la propria umanità.

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