Sono ancora fresche le firme sull’atto di fusione a quattro fra le Confindustrie di Padova, Treviso, Venezia e Rovigo, che già il cantiere riapre. È stato il presidente della Confindustria Alto Adriatico – che ha già aggregato le associazioni di Pordenone, Trieste e Gorizia – ad annunciare l’apertura di colloqui per la nascita possibile di una sola “Confindustria del Nordest”: già entro il 2023. È una notizia che sembra oltrepassare sia i confini territoriali, sia le dinamiche specifiche del settore medio/grande-manifatturiero nell’Azienda-Paese.
Una prima annotazione riguarda la resilienza reattiva di una porzione avanzata del sistema-Italia. La lunga e complessa uscita da una doppia e imprevedibile crisi (pandemia e guerra russo-ucraina) non sta paralizzando le imprese italiane, ma sta anzi spingendo le più vitali a ristrutturarsi per rispondere a nuove sfide competitive. Un anno tutt’altro che disprezzabile (con un Pil a +3,9%, superiore a quello di Usa, Cina, Giappone, Germania e Francia) non ha fatto mancare l’abbrivio: soprattutto in vista di un 2023 che vedrà l’intera economia globale rallentare.
Stringere le fila, ricontare e raggruppare le forze ancora in campo, cercare sinergie non solo dentro le fabbriche ma anche nelle strutture di rete, soprattutto quelle emerse nei distretti: la ricetta è classica, ma la differenza fondamentale è sempre fra chi riesce a “mettere a terra” piani e strategie e chi non ci riesce. Si tratti, a livello nazionale o locale, di un Governo alle prese con il Pnrr o di una comunità di imprese. Per questo non è stato un caso che all’assemblea inaugurale di “Confindustria Veneto Orientale” abbia voluto collegarsi da palazzo Chigi il nuovo premier Giorgia Meloni, in una delle sue prime “uscite” pubbliche nel mondo dell’economia.
Un secondo spunto di riflessione è legato invece a una dimensione territoriale in evoluzione su un duplice livello: quello imprenditoriale e quello politico. La nuova “piattaforma” confindustriale in rapido assemblaggio nel Nordest ha una specifica valenza all’interno del sistema di viale dell’Astronomia. Anzitutto: un effetto-contagio non è affatto da escludere: fra le Confindustrie minori del Centrosud ma anche sui pilastri del Centronord. Aumenta, ad esempio, la pressione sulle due storiche associazioni industriali del Veneto occidentale: Vicenza e Verona. Queste (soprattutto la prima) hanno avuto finora peso specifico per giocare da sole sullo scacchiere confindustriale. Ma hanno alla fine condiviso con l’intero Triveneto una sotterranea insoddisfazione per non aver mai raggiunto una posizione di vera leadership, neppure dopo un trentennio di relativa de-industrializzazione di altre macro-aree del Paese. È un fatto che degli ultimi otto presidenti nazionali in viale dell’Astronomia quattro siano giunti (ancora) dalla Lombardia, due dalla Campania, uno dal Piemonte e uno dal Lazio.
Non sfugge poi, a uno sguardo d’assieme sugli equilibri politico-economici, che la “super-Confindustria del Nordest” ha le sue radici in quel Veneto che da cinque anni attende l’autonomia differenziata dopo un referendum plebiscitario; e trova una sponda naturale in quel Friuli-Venezia Giulia che è da sempre regione a Statuto speciale. Che poi le due amministrazioni regionali siano entrambe pilotate da leader leghisti come Luca Zaia e Massimiliano Fedriga aggiunge solo ragioni per tenere d’occhio le tribù industriali che – forse stanche di aspettare la politica nazionale – la loro autonomia hanno cominciato a costruirsela da soli.
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