“Finché io conto qualcosa, che l’Italia non acceda al Mes lo posso firmare con il sangue” ha detto Giorgia Meloni davanti a Bruno Vespa. la presidente del Consiglio però non ha detto solo questo a proposito del Meccanismo europeo di stabilità. “Però, certo, se rimaniamo gli unici che non approvano la riforma – ha ammesso la Meloni – blocchiamo anche gli altri. Ne discuterà eventualmente il Parlamento”. Una posizione assai più morbida (e possibilista) di quella di Giorgetti.
È noto che ratificare il trattato di modifica del Mes non equivale a farvi ricorso, però chi conosce il trattato sa bene che esso è uno strumento squisitamente politico, e che firmarlo significa fare dell’Italia il sorvegliato speciale dell’eurozona. Ed è difficile dubitare che la ratifica, nel caso dell’Italia, dato il nostro alto debito pubblico, agirebbe da fattore politico di “attrazione” per un ingresso nel programma di sorveglianza e, con esso, di ristrutturazione del debito.
Con Fiammetta Salmoni, ordinaria di diritto costituzionale nell’Università Guglielmo Marconi di Roma, abbiamo esplorato uno degli aspetti meno noti e più complessi del Meccanismo: quello di backstop del Fondo di risoluzione unico, pilastro dell’Unione bancaria europea.
Che relazione c’è tra completamento dell’Unione bancaria e trattato di riforma del Mes?
Il problema di “cosa far fare” al Mes si è riproposto a più riprese fino a quando, nel 2018, i capi di Stato e di governo dei Paesi dell’eurozona hanno deciso di ampliarne il mandato in vista del rafforzamento dell’Unione economica e monetaria, prevedendo la revisione del suo trattato istitutivo anche in funzione di sostegno al cosiddetto Fondo di risoluzione unico (Srf), che è parte integrante del Meccanismo di risoluzione unico (Srm) e che rappresenta il secondo pilastro dell’Unione bancaria europea (Ube).
Perché si sa così poco dell’Unione bancaria europea?
Perché se n’è parlato pochissimo e perché è disciplinata da un intreccio infernale di fonti nazionali, comunitarie e internazionali. Dunque all’interno dell’Unione bancaria esiste questo Fondo di risoluzione unico che è lo strumento al quale sono affidate le decisioni relative al procedimento per la risoluzione delle banche in crisi. È l’autorità europea cui sono soggette tutte le banche oggetto di vigilanza da parte del Meccanismo di vigilanza unico (primo pilastro dell’Ube).
Il suo scopo?
Mutualizzare, seppure solo parzialmente, i costi delle crisi bancarie. È stato pensato con l’obiettivo di evitare che il salvataggio delle banche in crisi debba dipendere soltanto dai soldi pubblici, dai bilanci, del singolo Stato membro. Ovviamente, anche quando fu istituito il Fondo di risoluzione unico, proprio come accaduto con il Next Generation Eu, non tutti gli Stati membri erano d’accordo sulla messa in comune di fondi nazionali, perché ciò avrebbe comportato un trasferimento di risorse dai Paesi economicamente e finanziariamente più solidi ai Paesi strutturalmente più deboli. Inoltre, poiché, a suo tempo, a causa delle divergenze tra gli Stati membri non fu possibile utilizzare come base giuridica l’art. 114 Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), si pensò bene di superare il problema non già attraverso una fonte comunitaria, bensì mediante la sottoscrizione di un Accordo intergovernativo.
Semplificando?
L’ennesimo trattato di diritto internazionale che si colloca a latere della normativa eurounitaria – proprio come il famoso Fiscal compact e il trattato Mes –, cui è stato affidato il compito di definire le modalità del funzionamento di questo Fondo.
Che scopo ha il Fondo di risoluzione unico sulla base di quanto stabilito dall’Accordo intergovernativo?
Quello di finanziare gli strumenti per salvare le banche in crisi grazie ai contributi versati dallo stesso settore bancario, ma soltanto dopo che sia stato applicato il famoso bail-in, che è quel meccanismo che prevede che le banche in dissesto siano salvate prima di tutto usando i soldi “interni alla banca”, quindi i soldi degli azionisti, degli obbligazionisti e dei correntisti (oltre i 100mila euro).
Dunque come si finanzia il Fondo?
Si finanzia attraverso il trasferimento di prelievi a carico delle banche a livello nazionale e la loro progressiva messa in comune nel corso di una fase transitoria della durata di 10 anni secondo le modalità stabilite dall’Accordo intergovernativo. Questo perché gli Stati contraenti volevano evitare di essere obbligati, direttamente o indirettamente attraverso fonti sovranazionali di normazione secondaria, a contribuire al bilancio dell’Ue o di una delle sue istituzioni oltre il livello concordato nella Decisione sulle risorse proprie. Volevano, cioè, evitare di fare un passo ulteriore verso la messa in comune della politica fiscale.
A questo punto incontriamo il Mes, o meglio la modifica del trattato Mes.
Sì, perché il Mes avrebbe anche la funzione di fornire una rete di sicurezza finanziaria a questo Fondo – il Fondo di risoluzione unico – fungendo, quindi, da prestatore di ultima istanza.
E in che modo questo avviene?
Nella modifica del trattato Mes, tra le altre cose, è stata introdotta una garanzia comune, il cosiddetto backstop, destinato ad alimentare finanziariamente il Fondo di risoluzione unico sotto forma di linea di credito del Mes in sostituzione dello strumento di ricapitalizzazione diretta, per cui esso ora rappresenta il vero e proprio lender of last resort (prestatore di ultima istanza, nda) con il compito di garantire che un fallimento bancario non danneggi l’economia in generale e non causi instabilità finanziaria dell’eurozona.
In altri termini, l’ultima risorsa cui poter ricorrere nel caso in cui il Fondo non abbia denari a sufficienza per gestire la risoluzione della banca in dissesto.
Esatto. È evidente, quindi, che con il trattato di modifica del Mes il suo obiettivo originario (di “mobilizzare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità, secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto”) è stato ampliato con l’aggiunta dell’ulteriore obiettivo di finanziare il dispositivo di sostegno al Fondo di risoluzione unico (art. 3.2, nuovo trattato Mes) il tutto autorizzando esplicitamente il Mes a “seguire e valutare la situazione macroeconomica e finanziaria dei suoi membri, compresa la sostenibilità del debito pubblico, e analizzare le informazioni e i dati pertinenti” (art. 3.1, nuovo trattato Mes).
Cosa vuol dire?
Semplicemente che il Mes ha il potere di controllare i bilanci statali a prescindere dalle eventuali richieste di sostegno.
Qual è la sua opinione sul Trattato, alla luce di queste considerazioni?
Il nuovo trattato Mes è un vero e proprio obbrobrio giuridico, così come lo è l’Unione bancaria europea: si mischiano tra di loro fonti diverse, di ordinamenti diversi, da quelli nazionali a quello europeo fino alle fonti internazionali, con una chiara e gravissima perdita di uno dei pilastri della civiltà giuridica, il principio della certezza del diritto.
Lei ritiene possibile, come è stato proposto su queste pagine, riportare il trattato, o meglio la funzione svolta dal Mes, nella sua cornice comunitaria di provenienza?
Io penso che il Mes abbia fatto il suo tempo. Fu pensato durante la crisi del debito sovrano del 2009 solo ed esclusivamente perché a nessuno Stato membro, men che meno alla Germania, faceva comodo che la Grecia saltasse. Le banche tedesche erano piene di titoli di Stato greci e se quest’ultima fosse andata in default, tutte o quasi le banche tedesche sarebbero fallite. Un effetto domino inaccettabile per l’Ue a trazione Merkel. Oggi però a cosa serve questo organismo? Proprio a niente.
Neppure ad aiutare la sanità?
Se pensiamo che persino durante la pandemia nessuno ha voluto accedere ai suoi finanziamenti per paura del famoso effetto stigma, oggettivamente non vedo una sola buona ragione per continuare a tenerlo in vita. Quindi, in buona sostanza, non sono d’accordo sulla riforma strutturale del Mes perché non sono d’accordo sul Mes e sulle sue modalità di funzionamento.
Sappiamo che la funzione del Mes, come lei ha ricordato poc’anzi, è quella di prestatore di ultima istanza. Vuol dire che dovrebbe fare ciò che non è consentito alla Bce?
Precisamente. Si permette al Mes di fare ciò che l’art. 123 Tfue vieta espressamente alla Bce e alle banche centrali nazionali, ossia di concedere facilitazioni creditizie sia alle amministrazioni statali sia, con il nuovo backstop, a un organismo dell’Unione, cioè al Fondo di risoluzione unico, che è un’agenzia europea e non potrebbe ricevere sostegno finanziario da parte della Bce in quanto soggetta anch’essa al divieto di bail-out sancito proprio dall’articolo 123 Tfue.
Invece di riformare il Mes perché non si riforma la Bce?
Ma è proprio questo il punto. Perché non si modifica il Tfue che impedisce alla Bce di fare il “mestiere” di una vera banca centrale? Perché, invece di continuare a tenere in vita questo carrozzone privato, oltre tutto con tutte le trappole che la sua complessa normativa nasconde, non si restituiscono agli Stati attualmente membri del Mes i soldi che hanno versato finora?
Per concludere questo tema?
Portare il Mes dentro la cornice comunitaria secondo me non ha senso. Significherebbe aggiungere un’altra banca alla Bce. A che scopo? L’Unione Europea la sua banca ce l’ha già ed è proprio la Bce. Certo, se continuiamo a pensare che la Bce debba solo occuparsi di politica monetaria e di tenere l’inflazione sotto il 2% è chiaro che non ne usciamo. Saremo sempre soggetti a decisioni volte solo a quello scopo, mentre il ruolo di una vera banca centrale è ben più ampio.
Se, come lei auspica, si modificasse il Tfue e si attribuissero alla Bce i poteri che oggi si vogliono dare al Mes, il “Mes comunitario” sarebbe una duplicazione del tutto inutile. Ma non è affatto semplice cambiare i trattati.
È vero che la modifica dei trattati europei non è semplice, ma ricordo sommessamente che quando si è voluto – guarda caso proprio per istituire il Mes – si è usata la procedura semplificata prevista dall’art. 48, par. 6 Tue. Cosa impedisce agli Stati membri di ripercorrere la stessa strada?
L’appello che lei ha firmato su Micromega propone di istituire una “Agenzia del debito”. Essa risolverebbe il problema di dove mettere “gli 80,5 miliardi di capitale versati dagli Stati membri”, ma non quello della Bce. Che ne pensa?
Ecco, quell’appello, che io ho firmato perché sono fermamente convinta che per il nostro Paese sia controproducente ratificare il nuovo trattato Mes, è ovviamente, come tutti gli appelli, il frutto di un compromesso tra le varie sensibilità dei sottoscrittori. Nel nostro caso la maggioranza dei firmatari era favorevole all’istituzione dell’Agenzia del debito, ma io no, proprio per i motivi che ho spiegato. Certamente anche l’Agenzia del debito non risolve il problema della Bce e quindi, a mio avviso, sarebbe un ulteriore organismo tecnocratico e svincolato dalle regole democratiche che si introdurrebbe a livello europeo. Oltre al fatto che, da giurista, non vedo quale potrebbe essere la base giuridica di questa nuova Agenzia.
In che senso?
Sulla base di quale articolo dei trattati dovrebbe essere istituita? A me sembra che troppo spesso si pensino stratagemmi senza fare i conti con il diritto. Capisco che il diritto possa essere “noioso”, ma c’è e va rispettato. Non si può proporre una cosa importante come l’Agenzia del debito senza essersi prima chiesti se a livello comunitario si possa realmente fare, se non vada contro le norme dei trattati e/o degli Stati membri.
Lagarde non può non sapere che il Patto di stabilità, legato al Mes, sarà riformato. Allora qual è il suo intento?
Bella domanda. Punta a far entrare alcuni Stati europei in recessione? Io non sono un’economista, ma da ciò che ho studiato non ci vuole molto a capire che quando l’inflazione è alta è il momento giusto per alzare i salari. Forse la Lagarde vuole evitare proprio questo?
Perché secondo lei la Corte costituzionale tedesca ha deciso per la inammissibilità della questione?
Perché se fosse entrata nel merito avrebbe dovuto dare ragione ai ricorrenti e la Germania non avrebbe potuto ratificare. È stata una decisione politica. Il Tribunale costituzionale federale ha deciso di non decidere, perché questo Mes è utile alla Germania.
Vuole dire che il trattato Mes rimane uno strumento dal Dna tedesco?
Sì, è proprio ciò che sto dicendo. La Germania ha bisogno di avere una rete di salvataggio per il suo sistema bancario, che continua ad essere in equilibrio precario perché ha acquistato miliardi di obbligazioni di tutti gli Stati membri, inclusi quelli più indebitati come l’Italia, speculando sui mercati e puntando sull’ampliamento dello spread. E poi perché in questo modo evita di fare passi avanti verso una maggiore integrazione fiscale.
(Federico Ferraù)
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