Donare un rene per accedere ad un social network: in quanti lo farebbero? Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della York University, a Toronto, in Canada, e pubblicato sulla rivista International journal of communication, come riportato da Wired, ha rivelato che l’80% accetterebbe questa clausola, ma non consapevolmente. Il motivo sta nel fatto che la maggior parte degli utenti ignora ciò che c’è scritto nei termini e nelle condizioni di servizio. Le policy, infatti, sono troppo spesso lunghe e complesse.
Per dimostrare ciò, i ricercatori hanno coinvolto 500 persone di oltre 50 anni ad un sondaggio sul tema e successivamente hanno chiesto loro di accedere, tramite un clickwrap (una richiesta che offre alle persone l’opportunità di accettare o rifiutare una policy), a una falsa società di social media chiamata NameDrop. “La maggioranza di loro si è precipitata, accettando l’informativa sulla privacy senza accedervi, sebbene il tempo necessario per leggerla ammontasse a poco più di un minuto”, ha affermato Jonathan Obar, primo autore dello studio. “All’interno poteva esserci scritto qualsiasi cosa, dalle informazioni riguardo la raccolta dei dati personali e quelle sul loro collegamento a future iniziative con l’intelligenza artificiale, ma loro non lo sapranno mai”.
Donare un rene per accedere a social network: l’80% degli utenti accetta senza saperlo
Lo studio condotto dalla York University di Toronto ha evidenziato, in tal senso, come questo comportamento diffuso sui social network possa portare a conseguenze importanti, tra cui persino il dovere donare un organo “ridondante” come un rene, un braccio o una gamba. È proprio questo, infatti, che c’era scritto all’interno dei termini di servizio di NameDrop proposta agli utenti. L’83,4% dei partecipanti ha acconsentito, senza saperlo. All’interno dell’informativa sulla privacy, invece, era inclusa la possibilità di attivare la fotocamera e il microfono di un dispositivo per la raccolta di dati e di condividere questi ultimi con terzi. Ad accettare, in questo caso, è stato addirittura il 91,4%.
I risultati della ricerca dimostrano dunque che le persone troppo spesso non sono consapevoli di quelle che sono le loro azioni online, ma la “colpa” è anche di coloro che offrono i servizi. “Forse non si sta facendo abbastanza per supportare processi di consenso significativi”, ha affermato Jonathan Obar. La lunghezza e la complessità delle policy infatti va in contrasto con il desiderio degli utenti di accedere velocemente al social media. Secondo gli autori, dunque, è necessario lavorare su questi due fronti per trovare un punto di incontro.