È stato presentato a Roma il 19 dicembre nella sede della Confindustria nazionale il volume sull’industria manifatturiera nell’Italia meridionale, curato dalla SRM del Gruppo Intesa Sanpaolo e dal CESDIM-Centro Studi e documentazione sull’industria nel Mezzogiorno dell’Università di Bari Aldo Moro.
È una ricerca di vaste dimensioni, la più ampia compiuta negli ultimi vent’anni sull’industria manifatturiera nelle 8 regioni del Sud che, fra l’altro, nei quattro capitoli curati da chi scrive, ha scandagliato in profondità insieme alle attività dei grandi impianti di siderurgia, petrolchimica, chimica di base, automotive, aerospazio, meccanica pesante, impiantistica, navalmeccanica, farmaceutica e Ict, anche i tantissimi cluster di Pmi attive in tutto il Sud nei settori dell’industria leggera ovvero agroalimentare nelle sue molte branche, tac, cartotecnica, lavorazione di materie plastiche, legno-mobilio e ciclo integrato dei rifiuti.
Ne è scaturita una panoramica che, partendo naturalmente dai dati dell’Istat e dalle pregevoli analisi della Banca d’Italia sulle economie regionali, ha provato ad ampliarle, arricchendole con riferimenti alle singole aziende citate nominativamente, geolocalizzate nelle varie aree di insediamento e riportandone sempre (quando possibile) i fatturati e il numero degli addetti.
Quale allora il nocciolo scientifico del volume? L’ormai consolidata consapevolezza degli autori che nell’Italia meridionale e in tutte le sue regioni, sia pure con una diversa densità territoriale, si è insediato e stratificato nel tempo un apparato di produzioni manifatturiere che, pur non essendo paragonabile per le sue dimensioni a quello delle regioni settentrionali, ha ormai acquisito una sua solidità, attitudine alla resilienza nelle avverse congiunture, dinamismo e crescenti capacità competitive. Dati peraltro che trovano conferma nell’ultimo studio di Mediobanca sulle medie aziende del Sud condotto con Unioncamere e Istituto Tagliacarne, pubblicato nelle scorse settimane, che ha posto in luce come le medie imprese del Mezzogiorno crescano più di quelle del Nord e si accingano a chiudere l’anno con risultati apprezzabili.
Viene dunque in larga misura scardinata la tesi sostenuta per anni da centri di ricerca come la Svimez che ha continuato a sottolineare solo persistenti debolezze dell’industria meridionale, quando non anche un suo inarrestabile declino, che potrebbe sfociare (nella sua visione) in una sempre paventata desertificazione, mai peraltro verificatasi su grande scala nell’intero Sud, almeno nell’ultimo cinquantennio.
Nulla di più lontano dalla realtà, anche per l’impegno di un ceto imprenditoriale del Meridione mediamente di buon livello, insieme a quello di un management pubblico e privato di standing elevato, e grazie anche alle mobilitazioni di Sindacati, Istituzioni e popolazioni locali che hanno saputo difendere i presidi aziendali di maggiori dimensioni, confrontandosi con Governi di diverso colore politico che hanno però tutti – è doveroso riconoscerlo – lavorato per salvare o riconvertire fabbriche e posti di lavoro.
Nel Meridione sono localizzate capacità produttive di rilievo strategico per il Paese, da quelle siderurgiche alla raffinazione petrolifera, dalla generazione di energia da fonti fossili e rinnovabili alla petrolchimica, dall’automotive – con assemblaggi di auto e veicoli commerciali e robuste produzioni di componentistica – all’aerospazio. Le tre più grandi fabbriche italiane per numero di addetti diretti, solo per fare un esempio, sono insediate nel Sud, ovvero in ordine decrescente Acciaierie d’Italia a Taranto, Stellantis a San Nicola di Melfi (PZ) – il maggiore plant di assemblaggio di auto in Italia – e la Sevel in Val di Sangro (CH) in Abruzzo, la più grande fabbrica del Paese di autoveicoli commerciali leggeri: ognuno di questi tre stabilimenti, a sua volta, alimenta attività indotte di grandi dimensioni non solo di imprese locali, ma anche molto spesso di società multinazionali. Ma altri grandi poli industriali sono insediati nel Napoletano (automotive, aeronautica, agroalimentare, farmaceutica e tac), nel Barese (automotive e meccanica varia), a Brindisi (petrolchimica, energia e aeronautica), a Catania (Ict, tecnologie per l’energia e farmaceutica), nel Siracusano (con l’imponente polo petrolchimico di Priolo, Augusta e Melilli), nel Cagliaritano con la grande raffineria della Saras. Ma robusti cluster di Pmi sono diffusi in tutte le province meridionali, nessuna esclusa, come si può evincere dalla lettura del lungo saggio di chi scrive.
L’industria in Puglia
E nello scacchiere del Mezzogiorno la Puglia si conferma al secondo posto alle spalle della Campania per valore aggiunto del comparto industriale nell’insieme dei suoi settori (inclusa cioè l’edilizia), e in ottava posizione in Italia. L’industria regionale, lo sappiamo da tempo, è ben diversificata con piccoli, medi e grandi stabilimenti che vanno dall’agroalimentare (con molte delle sue branche) alla siderurgia, dalla petrolchimica all’aerospazio, dall’automotive alla meccanica leggera e pesante, dall’energia – la regione è la prima nel Paese per quella generata da fonte eolica – al tessile-abbigliamento-calzaturiero, dalla farmaceutica alla lavorazione delle materie plastiche, dall’ict al legno-mobilio, dalle cementerie alla cartotecnica, dal ciclo integrato dei rifiuti alle imponenti attività dell’Acquedotto nei servizi idrici integrati. Ed è un apparato produttivo che ormai ha stabilito – anche grazie a provvidenze statali e a specifici incentivi della Regione – rapporti di collaborazione con il mondo della ricerca di Università, centri del CNR e strutture come quella del CETMA di Brindisi.
E i nuovi massicci investimenti annunciati o già avviati da alcuni mesi – basti pensare a quelli delle multinazionali dell’Ict e della farmaceutica nell’area di Bari, all’arrivo della Act Blade Europe a Brindisi, per non parlare di quelli giganteschi previsti e in via di valutazione da parte del Ministero competente per numerosi parchi eolici off-shore floating al largo delle coste pugliesi – confermano ancora una volta, ove pure ve ne fosse bisogno, la capacità attrattiva di questi territori che, pur essendo per la verità un loro tratto storico di lungo periodo, è stata consolidata nell’ultimo quarto di secolo da un sistema di incentivazioni della Regione che è unanimemente riconosciuto di gran lunga come il migliore d’Italia.
L’industria nel Grande Salento
E nello scenario industriale pugliese, anche il quadrante delle tre province del Grande Salento ha assunto ormai da molti anni proporzioni di rilievo nazionale, potendo schierare insieme al Siderurgico, alla raffineria e alla meccanica leggera e pesante del capoluogo ionico e di diversi centri salentini, le fabbriche della CNH e della Lasim a Lecce, i grandi impianti di Versalis, Lyondell-Basell, Jindal e Ipem a Brindisi, i vasti siti aeronautici di Leonardo Divisione Aerostrutture ed Elicotteri di Grottaglie e Brindisi e della Avio Aero e della Salver sempre nella stessa città, la navalmeccanica militare a Taranto e diportistica a Brindisi, l’agroalimentare diffuso nelle tre aree provinciali con le loro eccellenze – vini, oli, ortaggi e prodotti ittici lavorati e surgelati, carni e birra – il tessile-abbigliamento-calzaturiero di Casarano, Martina Franca e di altri Comuni, la farmaceutica a Brindisi, Zollino e Galatina in provincia di Lecce, le cementerie nello stesso Comune e nel capoluogo ionico, la prefabbricazione pesante a Oria e Sternatia, l’Ict della stessa città bimare e in altri centri del Leccese, le imprese di costruzioni ferroviarie del capoluogo salentino che lavorano in tutta Italia, e testate giornalistiche e radiotelevisive ad alto indice di lettura e di ascolto.
Un apparato industriale, quello del grande Salento, che può vantare numerosi casi di eccellenza noti ormai in Italia e all’estero, ma anche eccellenze sconosciute ai più, ma non per questo meno rilevanti nei rispettivi comparti.
Ora il complesso delle produzioni industriali della Puglia e delle sue grandi aree provinciali è, al pari di quello nazionale, investito dagli effetti del caro energia, del processo inflazionistico e dell’accresciuto costo del danaro, da rinnovate difficoltà di accesso ad alcuni mercati esteri e dal non facile reperimento spesso evidenziato di alcune figure professionali specifiche. Ma è opportuno ricordare che già in passato sono state superate congiunture difficili per tanti aspetti simili a quelle odierne; e il sistema produttivo nel suo insieme, pur duramente stressato, le ha superate grazie a un impegno sostanzialmente concorde di Istituzioni, imprese, forze politiche, Sindacati e mondo della ricerca.
E questa concordia di fondo – pur nella comprensibile dialettica dei partiti di maggioranza e di opposizione – deve continuare a manifestarsi a difesa di un compendio industriale che continua ad assicurare occupazione a migliaia di addetti ed effetti indotti a vasto raggio non solo sull’economia regionale e meridionale, ma anche su quella nazionale. E la Puglia saprà ancora una volta superare una fase complessa come quella attuale.
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