Quella scommessa sullo smart working

Lo smart working diffuso sembra vicino al capolinea. Ma sarebbe un errore se il Governo si limitasse e derubricare il tema nella sua agenda

Il futuro dello smart working (Sw) appare tema derubricato nell’agenda di governo. Fra le pieghe del decreto Aiuti-bis, il diritto a chiedere il  “lavoro agile” resta in vigore per i lavoratori fragili, ma per ora solo fino al 31 marzo; e viene invece cancellato per i dipendenti con figli di età inferiore ai 14 anni. È un fatto che queste famiglie siano ormai sollevate dai problemi creati per due anni dalla scuola in modalità “a distanza” (Dad) per i lockdown da Covid. Le due dinamiche appaiono parallele e l’archiviazione tendenziale della Dad sembra attrarre quella dello Sw.

L’istinto sociale – e quindi politico – alla ricerca all'”usual” è un fenomeno comprensibile: soprattutto quando la crisi geopolitica, principalmente nel suo riflesso inflazionistico, sta aggiungendo pressione a una exit già difficile dalla pandemia. Il puro e semplice ritorno al passato, tuttavia, non appare affatto una traiettoria scontata: né come trend socioeconomico osservabile e prevedibile, né come policy raccomandabile. Al contrario: lo Sw sta mettendo radici stabili, rivoluzionando ovunque le organizzazioni del lavoro. Intesa Sanpaolo, uno dei maggiori gruppi italiani, ha appena introdotto la settimana lavorativa di 4 giorni, con la possibilità di lavoro flessibile fino a 120 giorni all’anno. Non sembra quindi un momento in cui un Governo (primo datore di lavoro nazionale) possa distrarsi sullo Sw, buttandolo via con l’acqua sporca della pandemia, lasciando fare al mercato sul suo recupero. Tanto meno quando la transizione digitale e quella ecologica (entrambe “Sw friendly”)  sono le direttrici portanti del Pnrr.

All’inizio di dicembre ha registrato clamore non solo negli Usa uno sciopero dei giornalisti del New York Times: non capitava da quarant’anni.  Pochi giorni prima di Natale, una protesta analoga era stata annunciata in Italia dai giornalisti del Corriere della Sera (è stata revocata all’ultimo istante). In entrambi i casi l’agitazione ha avuto basi rivendicative, con la richiesta di aumenti retributivi in chiave anti-inflazione a fronte di buoni risultati economici dei rispettivi editori. Ma sia a New York, sia a Milano l’escalation nelle relazioni sindacali si è innestata nell’incerta fase di fase di rientro dallo Sw imposto dal Covid a tutto il grande terziario.

Il Grande Rientro sembra per il momento la parola d’ordine in molte aziende: dove crescono le preoccupazioni per i rischi di perdita della produttività in organizzazioni  a rischio-disruption; e dove le Grandi Dimissioni hanno già fatto dimagrire gli organici. Ma per molti giornalisti del Nyt (come del Corriere) poter lavorare in remoto da casa da casa non si è rivelata solo una buona modalità innovativa: comporta anche un risparmio sensibile di tempi e costi per raggiungere una Manhattan divenuta nel frattempo meno sicura e accessibile nei servizi e nei loro prezzi. In una New York non più popolata neppure da molti interlocutori, come ad esempio lavoratori della finanza o degli studi legali: avanguardie fra quanti la pandemia ha spinto a rilocalizzarsi stabilmente a casa propria oppure alla Hawaii, facendo leva strutturale sugli strumenti di interfaccia digitale.

Già prima della pandemia, d’altronde, il baricentro della Grande Mela mostrava sommovimenti di lungo periodo: anzitutto verso Brooklyn, nuova patria degli hypster digitali, pionieri antropologici di tutte le dimensioni dello Sw (significativo, su questo sfondo  il rifiuto “neo-luddista” dei “dem/radical” newyorkesi di accogliere il secondo quartier generale di  Amazon).  Nel frattempo quanti “insospettabili” lavoratori italiani – d’intesa con le loro aziende –  si sono trasferiti da Milano o Roma alle Canarie, alle Baleari, sulle Dolomiti, in Sardegna, Toscana, Puglia? O, ancora una volta: a casa propria, ma non per fare i “bamboccioni” presso i genitori e tanto meno per restare seduti sul sofà ad attendere il Reddito di cittadinanza.

Lo Sw è certamente materia delicatissima da maneggiare: quella di Intesa Sanpaolo (eclatante ma certamente non unica) è una scommessa win-win per ora in quanto lanciata. Management, dipendenti, organizzazioni sindacali hanno accettato assieme di esplorare assieme percorsi innovativi: con l’obiettivo di mantenere la loro azienda competitiva nell’Italia, nell’Europa, nel mercato globale che verranno. Di una cosa non li si potrà mai rimproverare: di non averci provato. Invece commetterebbe un errore sicuro un Governo che si voltasse dall’altra parte di fronte a un rischio-opportunità di primo livello per l’Azienda-Paese. L’emergenza è finita, anzi al Covid è subentrata la stagflazione. Lo Sw è stato la soluzione (improvvisata  ma di successo) per la prima: come minimo andrebbe testato anche per la seconda.

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