Il periodo di Natale, si sa, è particolarmente propizio per l’attività dei cori: canti gregoriani, polifonici, gospel, religiosi e non; cori dilettanti e professionisti, bambini e adulti; accompagnati da strumenti musicali o senza. Se ne sentono di tutti i co(lo)ri e la diversità è la cifra che un po’ li caratterizza, perché è anche la cifra della vita di tutti i giorni. Per quello di cui ci occupiamo oggi, però, il coro è monocorde, canta a una voce sola su una singola nota la stessa canzone che dice fino alla noia: la sanità è in crisi perché manca il personale. Sarà vero? Sarà vero che la sanità è in crisi? E sarà vero che lo è perché manca il personale?<
Dei problemi e delle difficoltàche vive la nostra sanità, anche se non si è mai usata la parola crisi, queste colonne se ne sono occupate con una certa frequenza (e continueranno a farlo) e i lettori ne hanno quindi contezza, ma è vero che la crisi dipende dalla mancanza di personale?
Una buona sanità necessita sicuramente di luoghi di cura adeguati, di strumenti tecnici moderni e funzionanti, di farmaci efficaci, di un’organizzazione efficiente e funzionale, e così via, ma il “manico” (come si usa dire popolarmente) è costituito sicuramente dagli uomini (e dalle donne dobbiamo aggiungere se non vogliamo essere tacciati di sessismo). Mancano? I segnali che il problema sia grave sono molti: il blocco delle assunzioni di questi ultimi (almeno) 10 anni ha sicuramente ridotto il personale attivo e lo ha enormemente invecchiato; il personale uscito (pensionamenti) non è stato reintegrato; la migrazione in uscita dal SSN è forte e interessa diverse tipologie di figure professionali; l’attrattiva del SSN è bassa; molte specialità cliniche sono in decisa difficoltà (soprattutto l’area dell’emergenza-urgenza); c’è un importante spostamento di professionisti dall’ospedale al territorio (e in questo la pandemia ci ha messo del suo); ci sono molte condotte scoperte e cittadini che non hanno il medico di base; i concorsi per la sostituzione di personale vengono aperti ma i partecipanti latitano e le posizioni rimangono scoperte; sono state introdotte modalità di acquisizione del personale che destano sicure perplessità; tanti soggetti che hanno l’opportunità escono dal SSN (o dalla sua parte pubblica) perché trovano migliore sistemazione nel privato; e così via, per un elenco di questioni ed esempi a volte di esclusivo interesse locale ma più spesso di ordine generale. Insomma, se guardiamo l’elenco delle lamentele dobbiamo concludere che il problema c’è ed è un caso serio.
Tenere conto delle “lamentele” può essere fuorviante ma è importante, anche perché alcuni degli esempi riportati vanno molto al di là della lamentela e rappresentano veri e propri problemi, però per una seria programmazione sanitaria occorre fare uno sforzo maggiore, soprattutto dal punto di vista dell’analisi e della valutazione quantitativa.
Informazioni su quanti lavorano nel SSN ci sono (Ministero della Salute: Il personale del Sistema Sanitario Italiano, Anno 2020. Agosto 2022): secondo le notizie fornite dal Ministero della Salute al 31 dicembre 2020 risulterebbero attive, in strutture pubbliche e private, 241.210 medici, 343.279 unità di personale infermieristico, 55.768 unità di personale con funzioni riabilitative, 46.859 unità di personale tecnico sanitario e 10.627 unità di personale con funzioni di vigilanza ed ispezione che operano nei vari livelli di assistenza (medicina primaria, riabilitazione, ospedaliera, ambulatoriale), nei diversi tipi di contratto e con le diverse qualifiche professionali; nel corso dell’anno 2020 sono cessate complessivamente dal servizio 51.536 unità di personale e contestualmente ne sono state assunte 79.642; è nota la loro distribuzione per età, che ci dice che nel prossimo quinquennio molte decine di migliaia di operatori lasceranno il SSN per raggiunti limiti di età; sappiamo cos’è successo al loro numero nel tempo (diminuzione fino al 2019 e un po’ di ripresa causa lotta al virus nel 2020 e 2021); e sappiamo pure cosa succede nelle altre nazioni (ma siamo anche consci della prudenza e della attenzione con cui devono essere letti e interpretati i confronti tra diversi sistemi sanitari). È sufficiente? Purtroppo no, perché l’informazione più importante, come spesso succede, è quella che manca: vale a dire, non sappiamo di quanto personale ha bisogno il SSN per funzionare assolvendo i suoi compiti, e non sapendo quanto ne serve risulta piuttosto difficile dire se ne manca o se cresce.
Pochi giorni fa sono stati pubblicati i nuovi criteri proposti da un ampio e articolato gruppo di lavoro coordinato da Agenas per individuare il fabbisogno di personale del SSN (Ministro della Salute e Ministro dell’Economia e delle Finanze: Metodo per la determinazione del fabbisogno di personale del SSN): problema complesso, metodologia complicata, tantissimi fattori di cui tenere conto. Non c’è spazio qui per entrare nel merito tecnico della proposta, però ci chiediamo: qual è il risultato di questo lavoro? Alla luce dei criteri evidenziati il personale del SSN di oggi è troppo o è troppo poco? E quali sarebbero, eventualmente, le aree più carenti o più rappresentate? Purtroppo “risposta non c’è, o forse chi lo sa, …” e lasciamo concludere la frase a chi conosce la famosa canzone dell’americano premio Nobel che vede la soluzione in qualche noto fenomeno atmosferico.
Ha contezza del problema la politica? Guardando i provvedimenti adottati nell’ultimo decennio, e forse più, e in particolare il blocco delle assunzioni e il tetto di spesa al personale per favorire il controllo ed il governo della spesa sanitaria, dobbiamo con rammarico concludere che se attenzione c’è stata al SSN questa non si è rivolta ai problemi del personale.
Del nuovo Ministro per ora conosciamo solo le intenzioni, che ci manifestano l’interesse a mettere mano alla partita, in particolare per alcuni settori come il territorio (per via soprattutto del Pnrr) e l’emergenza-urgenza, con lo strumento economico: aumento dello stipendio, adozione di incentivi per lo svolgimento della professione e rendere attrattivo il SSN. Ma è tutto il disegno della filiera produttiva che merita una riflessione e una riprogettazione, soprattutto per quanto riguarda la formazione perché i professionisti che servono, di tutte le categorie, non si trovano tutti i giorni sulle bancarelle dei mercati rionali e la loro preparazione richiede percorsi adeguati (oggi, peraltro, non del tutto presenti nell’offerta formativa esistente) e, soprattutto, tempi lunghi, il che accentua la necessità di lungimiranza di cui si deve dotare chi si vuole assumere il compito della programmazione del settore.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.