EVA KAILI E LE PROVE DA FAR SPARIRE: NUOVE ACCUSE SUL QATARGATE
Le rivelazioni di Francesco Giorgi sulla ong di Antonio Panzeri vengono “oscurate” dai presunti tentativi di “far sparire” le prove di tangenti di Eva Kaili: e sì, è ancora una volta l’inchiesta del Qatargate ad occupare le principali prime pagine italiane e non solo sull’inchiesta che fa tremare l’intera Unione Europea. Prosegue la carrellata di prove e documenti fornite da “La Repubblica” (in accordo con i quotidiani belgi che spesso acquisiscono le fonti dirette, ndr) sulle modalità che avrebbero portato i primi indagati sul Qatargate a ricevere e smistare i soldi giunti da Qatar e Marocco. Al netto della linea difensiva della ex vicepresidente del Parlamento Europeo – che continua a professarsi innocente completamente – le ultime prove pubblicate sui media riguardano il presunto tentativo di “coprire” alcune prove presenti e di sua conoscenza. «So che mio marito stava custodendo qualcosa per il suo vecchio capo, Antonio Panzeri, e forse anche per il suo attuale capo, Andrea Cozzolino. Eppure non sapevo cosa né perché: non credo di fidarmi più di nessuno dopo quello che è successo»: questo emergerebbe dai verbali tenuti da Eva Kaili davanti al giudice responsabile dell’inchiesta Qatargate.
L’eurodeputata greca ha spiegato agli inquirenti di aver chiesto al padre di far sparire i soldi che lei stessa non sapeva si tenessero in casa sua: «Dopo che il mio compagno è stato arrestato sono entrata nel suo ufficio. Ho guardato tra le sue cose per capire perché fosse stato arrestato», avrebbe detto Kaili ai pm belgi. In quel frangente nota la valigia, un pc e un telefono: «Allora ho chiamato mio padre, che era con la bambina. Gli ho chiesto di venire a prendere la valigia. (…) È una valigia per Panzeri che mio marito teneva in casa. (…) Sapevo che mio padre avrebbe raggiunto mia figlia perché nella valigia che aveva preso avevo messo dei biberon». Eva Kaili ha poi tentato di chiamare Panzeri non riuscendo però a trovarlo, a quel punto avrebbe telefonato a Marc Tarabella e Maria Arena (entrambi europarlamentari del gruppo S&D): «Non sapevano perché Panzeri non avesse risposto». Eva Kaili rigetta ogni accusa di corruzione ma ai giudici avrebbe comunque spiegato di aver aperto la valigia, «So che (Francesco Giorgi, ndr) stava custodendo qualcosa per il suo vecchio capo, Pier Antonio Panzeri, e forse anche per il suo attuale capo, Andrea Cozzolino». I soldi insomma, sostiene Kaili, non sarebbero di Giorgi ma di Panzeri: «c’era un’altra borsa che conteneva denaro. Era questo che (Giorgi, ndr) aveva preso in prestito per la proprietà immobiliare». Da ultimo, la ex vicepresidente dell’Europarlamento spiega – sempre nei verbali pubblicati da “Rep” – del suoi personali rimpianti sulla vicenda Qatargate di cui comunque si professa innocente a livello penale: «Dei rapporti con Panzeri e Cozzolino non sempre mi fidavo. Francesco aveva un obbligo morale verso Antonio e Andrea, ma era troppo. Ogni volta che gli altri gli chiedevano qualcosa, si sentiva in dovere di rispondere e mettersi a disposizione. Non sapeva dire di no. Forse avrei dovuto dire qualcosa perché sono più grande di Francesco. È troppo accomodante, troppo gentile con i suoi amici in generale». Kaili ha assicurato di non aver «mai ragionato sull’origine di questi soldi», ma dopo gli arresti sul Qatargate ecco che arriva a conclusione che «quella non era una cosa normale».
QATARGATE, GIORGI: “PANZERI INIZIÒ NEL 2019, ONG CREATA PER FARE AFFARI”
Da “Repubblica” a “Le Soir”, il quotidiano belga oggi ha pubblicato alcuni stralci delle risposte date da Francesco Giorgi davanti al giudice Michael Claise titolare dell’inchiesta Qatargate: in particolare, l’assistente parlamentare di Andrea Cozzolino (Pd) tra i primi ad essere arrestato a dicembre fornisce agli inquirenti i dettagli sulle presunte attività illecite del fondatore della ong Fight Impunity, ovvero proprio Antonio Panzeri. «All’inizio del 2019 è iniziata la collaborazione. Abbiamo definito gli importi, che ho qualche difficoltà a ricordare, per i nostri rispettivi interventi. Erano in contanti». Giorgi spiega che quel rapporto specifico con Panzeri era finalizzato alla creazione di un sistema chiaro «che non desse l’allarme».
In poche parole, la creazione di una ong impegnata in elementi umanitari che facesse invece da “copertura” per affari assai meno nobili: solo pochi mesi dopo quell’accordo il sistema «fu professionalizzato con la creazione dell’organizzazione no-profit Fight Impunity», spiega Giorgi. Il “modus operandi” messo nero su bianco dagli inquirenti del Belgio – in attesa delle linee difensive dei quattro arrestati (Kaili, Giorgi, Panzeri e Figà-Talamanca) – riguarda il tentato di Antonio Panzeri, ex Pd, di condizionare alcune votazioni dell’Europarlamento (in favore di Marocco e Qatar) provando a contattare diversi parlamentari e offrendo loro regali e vantaggi economici (come biglietti per i Mondiali di Calcio in Qatar). Per il momento i quattro indagati restano tutti in carcere, con prossima udienza convocata per il solo Panzeri il prossimo 17 gennaio.