Il dragone cinese, simbolo non ufficiale, ma radicatissimo nella coscienza popolare e anche in quella governativa, ha i piedi d’argilla: “Per la prima volta nella storia un presidente del partito comunista ha dovuto cedere alle proteste popolari” ci ha detto in questa intervista Massimo Introvigne,sociologo, fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter.
“Benché” ha continuato “non siamo davanti a una nuova Piazza Tienanmen dove i giovani chiedevano riforme e democrazia, ma semplicemente alla stanchezza per due anni di segregazione anti Covid, Xi Jinping ha avuto davvero paura delle decine di migliaia di persone che a Pechino intonavano per le strade il nome di un personaggio, immediatamente sparito dalla circolazione, che aveva messo in pubblico uno striscione con scritto ‘abbasso Xi Jinping’”.
Questa paura, insieme alle pressioni degli industriali che stanno vedendo l’economia cinese sprofondare in una crisi gravissima, lo hanno spinto al “liberi tutti”, “con le conseguenze che il Covid adesso si sta spargendo in numeri altissimi e con la probabile esistenza di varianti a noi sconosciute che sicuramente stanno già arrivando in Italia e in Europa, data la completa riapertura delle frontiere”.
Una inversione di marcia a “U” nella strategia di sicurezza anti-Covid che ha fatto passare la Cina nel giro di pochissimi giorni dalla chiusura totale all’apertura più completa. Che cosa è successo realmente?
C’è una spiegazione ufficiale e una reale. Quella ufficiale è quella che viene data dal ministero della Sanità che dice che è stata vinta la battaglia contro il Covid e hanno ridotto a dimensioni minime le varianti più pericolose. Rimarrebbero in circolazioni varianti meno pericolose e con questo giustificano la fine delle misure di sicurezza. In sostanza il governo non ha sbagliato nulla e non hanno prestato attenzione alle manifestazioni di protesta ma hanno vinto la loro battaglia.
Proteste che invece ci sono state, eccome.
A proposito delle proteste, la linea ufficiale è stata dettata dall’ambasciatore cinese in Francia, un lupo della diplomazia, che nel discorso natalizio ha detto che le proteste all’inizio erano spontanee e si dovevano alle colpe delle autorità locali che non avevano capito la strategia di Xi e che sono state punite severamente. Però su queste proteste, ha aggiunto, si sono innestati i servizi segreti americani che hanno cercato di provocare una rivoluzione colorata su tipo di quella ucraina del 2014 e sono stati sconfitti dalla reazione della polizia.
La realtà è ben diversa, no?
Ovvio. Nessuno in Cina, neanche gli scienziati più autorevoli, crede a questa versione. La realtà è che per la prima volta nella storia un presidente comunista cinese ha dovuto cedere a pressioni combinate: quella della piazza che non era più controllabile, e quella degli industriali che vedevano il default di molte grosse aziende. Però siccome il cedimento è stato repentino ed è avvenuto dopo che a Pechino decine di migliaia di persone hanno cominciato a cantare il nome di quel signore che aveva appeso uno striscione con scritto ‘Abbasso Xi Jinping’ sotto un ponte, che nel frattempo è sparito e non si sa dove sia finito, questa immagine di persone sotto il ponte che invocavano quel nome lo ha spaventato.
Il risultato è che adesso la Cina si sta contagiando come non mai: un esito opposto a quello che il governo ha cercato di scongiurare per due anni.
In realtà questo cambio di strategia era nell’aria, alcuni esponenti del regime lo consigliavano da settimane. Siccome è avvenuta sotto l’impulso di fattori esterni in una popolazione che era abituata a starsene rinchiusa in casa con le mascherine, adesso che possono circolare liberamente i contagi volano. I cinesi non sono stati preparati al Covid, dispongono di un vaccino di efficacia limitata, adesso il rischio è che ci siano milioni di infettati e centinaia di migliaia di morti.
Rischiamo anche noi che il Covid, sotto forma di chissà quale variante, torni come all’inizio della pandemia?
Sì. Tutto questo sarebbe un loro problema se non fosse che per dimostrare che tutto va bene hanno riaperto le frontiere e quindi non sappiamo che varianti ci siano, perché Pechino non condivide informazioni con nessuno. In Italia sono già arrivati voli con metà dei passeggeri infettati.
Tutto questo ci dice che il granitico regime comunista cinese, alla fine, è attaccabile?
Sì, anche se rispetto all’entusiasmo di alcuni cinesi emigrati in America va detto che non siamo davanti a una nuova Tienanmen. Non è una protesta per la democrazia, sono proteste simili a quelle che facevano i nostri no vax.
Però è un precedente incessante, è d’accordo?
È un precedente importante. Salvo però alcuni campus universitari, compreso quello del partito dove le repressioni sono state più dure, nel 1989 la protesta era sulla morte di un leader moderato; da lì si passò a una domanda di democrazia, di riforme. Qui, oltre al basta-Covid, non c’è quel progetto rivoluzionario che c’era allora.
(Paolo Vites)
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