Monsignor Antonio Staglianò, vescovo e presidente della Pontificia accademia di Teologia, ha commentato su “La Verità” la dibattuta “scristianizzazione” dell’Occidente, che muoverebbe i suoi passi dal Natale, di cui si sta smarrendo il vero significato. Quando si parla di scristianizzazione, ha esordito monsignor Staglianò, si pensa sempre “ad un’operazione battagliera di quanti sono all’esterno del Cristianesimo per imporre il loro punto di vista ‘illuministico’, a un mondo di epigoni dei grandi atei che si vuole organizzare contro la fede e che coglie ogni occasione per venirci contro. Sicuramente c’è del vero”.
Ma non è tutto, ha aggiunto Staglianò, il quale ha evidenziato come a mancare oggi sia proprio il senso critico, che per la Chiesa si traduce in un deficit di teologia, che è esercizio critico del sapere della fede. Giovanni Paolo II, nell’enciclica Fides et Ratio, esortava i cattolici “ad usare la testa nel nuovo millennio, pena lo scadere della religione in magie e superstizioni. Faccio notare che i primi grandi evangelizzatori, e quindi gli apostoli stessi, tra i miti e le religioni scelsero il ragionamento filosofico; i primi padri della Chiesa furono apologisti, perché come dice Sant’Agostino, ‘la fede che non si pensa è nulla’. Per cui dobbiamo avviare un processo di divulgazione per poter comunicare alle persone le verità del Vangelo”.
MONS. STAGLIANÒ: “DIO SI È INCARNATO, NON INUMANATO. PER QUESTO È NATO BAMBINO”
Sempre su “La Verità”, monsignor Staglianò ha detto la sua circa l’articolo apparso la vigilia di Natale su “La Stampa”, a firma di Michela Murgia, in cui si afferma che il cattolicesimo ama un Dio bambino perché “rifiuta la complessità”. Il presidente della Pontificia accademia di Teologia ha ribattuto sottolineando in primis che la complessità è struttura interiore dell’umano ed evitarla significa quindi evitare l’umanità; pertanto, questa affermazione equivale a dire che nessun Dio si è fatto carne.
Secondo monsignor Staglianò, l’osservazione di Michela Murgia è “bambinesca: noi contempliamo il Bambino perché, diversamente dal rappresentarsi umano degli dei antichi, pensiamo a un Dio che si fa carne umana, tale fin dal primo istante del concepimento. Noi adoriamo e contempliamo la realtà di Gesù da quando è feto nel grembo di sua madre. Parliamo di incarnazione, non di inumanazione: se si fosse inumanato, Gesù avrebbe potuto scegliere di farlo in un uomo già adulto. Ed è bambinesco definire il nostro adorare un bambino una fuga dalla complessità: non so come le sia venuta questa associazione mentale, non riconosco nessuna intelligenza. Se l’intelligenza è la capacità di stabilire relazioni significative, qui non c’è nessuna relazione significativa. Lo capiscono pure i polli che il bambino crescerà”.