Il finale d’anno è dominato da due fenomeni: il primo è il ritorno dei timori per la diffusione del Covid con il Paese che si “deve preparare” a qualsiasi scenario, incluso quello della limitazione per legge degli “assembramenti”; il secondo è il crollo delle aspettative su inflazione e crescita su cui il mercato si era adagiato negli ultimi mesi.
La Cina riapre e sembra aver chiuso per sempre con la politica “zero Covid”; la riapertura della seconda economia globale e del primo importatore di materie prime del mondo ha l’effetto di spingere la crescita del Paese asiatico, esattamente come accaduto nella primavera del 2020 e 2021 in Europa, e di imprimere una spinta inflattiva ai prezzi internazionali delle materie prime.
Gli ultimi dati sull’attività manifatturiera americana, pensiamo al PMI di Chicago uscito ieri, non consegnano un quadro di recessione; sicuramente per il primo trimestre 2023 e forse anche per il secondo. L’America in questo frangente vive una fase di dinamismo nel settore industriale che beneficia del reshoring, cioè il ritorno in patria della manifattura che aveva lasciato la regione con la globalizzazione. La valuta della Sud Corea, una delle maggiori economie esportatrici del globo, si rafforza; significa che le aspettative sulla domanda di beni migliorano. I rendimenti delle obbligazioni statali americane ed europee continuano a salire e le attese di inversione delle politiche espansive delle banche centrali si spostano più in là nel tempo.
Ieri il dato “flash” dell’inflazione spagnola di dicembre mostra un’inflazione “core”, al netto dei prodotti energetici e alimentari, che aggiorna nuovi massimi; nessun rallentamento, anzi l’esatto opposto. Le politiche fiscali messe in atto nel 2020 e nel 2021 e la crescita dei risparmi degli ultimi due anni sostengono i consumi nonostante l’incremento dei prezzi e la diminuzione del potere d’acquisto. Lo scenario di rallentamento economico e graduale diminuzione dell’inflazione viene meno; almeno per i prossimi 3-6 mesi. Il mercato deve ancora adeguarsi a questa nuova realtà. Anni di sotto-investimenti nel settore primario e le tensioni geopolitiche peggiorano il quadro perché dall’offerta non arrivano soluzioni.
Ma l’economia europea si differenzia da quella globale perché, negli stessi giorni in cui il prezzo del gas americano torna ai livelli dell’estate 2021, è alle prese con una crisi energetica che non ha eguali, in nessuna misura, con le altre economie globali. Non ci sono riaperture, come in Cina, non c’è il rimpatrio di attività produttive, come in America, non c’è il beneficio di prezzi delle materie prime più alti, come nei Paesi produttori, che possano dare spazio di manovra in Europa. L’inflazione da materie prime, la peggiore, arriva tutta senza mediazioni a complicare un quadro che è già difficile.
In questo quadro i “lockdown” possono affascinare la politica europea perché offrono una “involontaria” valvola di sfogo economica. Comprimono la domanda interna, agiscono in senso contrario alla salita dei prezzi, difendono la competitività della manifattura europea in un quadro internazionale da “tutti contro tutti”. La relazione tra riduzione della pressione inflattiva interna e lockdown è già stata indagata e discussa a lungo sui maggiori media occidentali a proposito della Cina; mentre la Cina rimaneva chiusa Pechino accumulava scorte e firmava contratti di approvvigionamento. Il direttore del Fondo monetario internazionale, a novembre, invitava la Cina ad attenuare le misure di contenimento del Covid; in quei giorni si discuteva dei benefici in termini di controllo politico delle misure ufficiali di contenimento del Covid.
Oggi l’Europa e l’Italia sembrano tornate in prima linea nella “lotta al Covid” in un quadro molto particolare per il Vecchio continente. È una coincidenza o una deriva “cinese”?
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