Ho avuto il dono di conoscere personalmente il Cardinale Ratzinger e, grazie alla Sua generosa benevolenza, di averlo incontrato numerose volte.
L’inizio è stato con il Meeting del 1990. Allora ne avevo la responsabilità e quell’anno avevamo osato invitare a parlare proprio il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Eravamo pieni di trepidante riverenza, desideravamo accoglierlo nel modo più adeguato, temevamo che qualcosa potesse non essere di suo gradimento. Le cose andarono in modo tale che da subito ci fu dato di fare l’esperienza di una dolcezza, di una disponibilità e soprattutto di un interesse a essere con noi che mai ci saremmo immaginati di tale intensità. Mi trovai da subito di fronte a una persona che emanava certezza, ma non in sé, piuttosto in quell’Eterno di cui ci parlò nella sua conferenza. “La fondamentale liberazione che la Chiesa può darci è lo stare nell’orizzonte dell’Eterno, è l’uscir fuori dai limiti del nostro sapere e del nostro potere”.
Gli avevamo consegnato un titolo non scontato, ma che Egli aveva accettato di buon grado “Una compagnia sempre riformanda”. Un titolo che lui stesso, all’inizio del Suo intervento, commentò così: “Non c’è bisogno di molta immaginazione per indovinare che la compagnia di cui voglio parlare è la Chiesa.” Il Cardinale Ratzinger aveva scelto il Meeting per dire ciò che in quel momento riteneva utile per il bene della Chiesa! “La reformatio, quella che è necessaria in ogni tempo, consiste nel fatto che noi spazziamo via sempre nuovamente le nostre proprie costruzioni di sostegno, in favore della luce purissima che viene dall’alto”.
In quella giornata il Cardinale non si sottrasse neppure a una lunga conferenza stampa. E i giornalisti non evitarono domande che noi definiremmo scabrose, sull’esigenza di cambiamento delle strutture della Chiesa, sui Movimenti, sul rischio della riduzione pelagiana del Cristianesimo a moralismo. Lui rispose pacato e diretto, come chi non ha nulla da difendere, se non affermare che “dove c’è vita, si trova anche la formula giuridica, ma dove c’è struttura, non si trova necessariamente la vita”.
Quel Meeting del ’90 fu l’inizio di un bellissimo rapporto che conservo nel cuore con profonda gratitudine. Ogni anno, quando nell’autunno cominciavamo a immaginare il Meeting dell’anno successivo, chiedevamo di andare in udienza dal Cardinale Ratzinger. Puntualmente ci veniva concesso e così insieme a uno o due altri responsabili del Meeting, nei primi mesi dell’anno venivamo ricevuti. Era un’ora, meglio in genere 50 minuti, di inimmaginabile ricchezza. Sempre il dialogo partiva da qualche domanda su don Giussani. Era evidente che questo non era né formale, né casuale. L’interesse a quello che noi facevamo si originava dal rapporto con don Giussani che, ben sapevamo, Ratzinger aveva conosciuto a metà degli anni ’70 e di cui lui stesso disse “mi era diventato un vero amico”.
Il Cardinale si appassionava al nostro lavoro per la stima nei confronti di Giussani. E noi ne godevamo! Potevamo sottoporgli i contenuti del Meeting cui stavamo lavorando, le ipotesi su cui stavamo muovendoci. E lui entrava nel merito, domandava, ci aiutava ad approfondire e talora, con estrema discrezione, anche suggeriva. Era inevitabile che ogni volta non mancassimo di rinvitarlo .Nel 2002 ci fece un ulteriore grande regalo inviandoci un suo testo sulla Bellezza (che era il tema del Meeting di quell’anno). Il testo, che noi leggemmo in Salone, terminava così “Nulla ci può portare di più a contatto con la bellezza di Cristo stesso che il mondo del bello creato dalla fede e la luce che risplende sul volto dei Santi, attraverso la quale diventa visibile la Sua propria Luce”.
Mi ha sempre affascinato il suo amore alla bellezza. Un uomo profondamente amante della ragione, che aveva reso evidente per tutti l’inevitabile incontro tra fede e ragione, metteva le mani sul pianoforte con un dolcezza e con una capacità di generare bellezza e armonia come mai ti saresti immaginato.
E proprio dalla bellezza iniziò quella sua memorabile omelia ai Funerali di don Giussani. “Don Giussani era cresciuto in una casa – come disse lui stesso – povera di pane, ma ricca di musica; e così, sin dall’inizio era toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza; non si accontentava di una bellezza qualunque, di una bellezza banale: cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita; così ha trovato Cristo, in Cristo la vera bellezza, la strada della vita, la vera gioia”. E aveva aggiunto: “Don Giussani, ha tenuto fisso lo sguardo della sua vita e del suo cuore verso Cristo. Ha capito in questo modo che il Cristianesimo non è un sistema intellettuale, un pacchetto di dogmi, un moralismo, ma che il Cristianesimo è un incontro; una storia d’amore; è un avvenimento”.
Colpiva sentire parlare della fede cristiana come di una storia d’amore! Era la Sua storia d’amore con Cristo, quella che ci testimoniò anche nella drammatica e misteriosa circostanza della rinuncia. Solo uno così innamorato poteva avere negli occhi, proprio in quei giorni, quella letizia commossa che tutti abbiamo visto.
Il Funerale di don Giussani fu il 24 febbraio del 2005. Anche quell’anno, poche settimane prima, lo avevo incontrato. Don Giussani era già molto provato dalla malattia. Giovanni Paolo II stava per essere ricoverato al Gemelli. Il cardinale Ratzinger si era intrattenuto anche quella volta con noi, ma per meno tempo. Dopo meno di due mesi sarebbe diventato Benedetto XVI. Gli incontri personali con lui necessariamente si interruppero, ma rimase tutta la compagnia che continuò a farci con i suoi annuali messaggi indirizzati al Meeting e con quei gesti e quei reiterati interventi, rivolti a tutti, con i quali sollecitava, costruiva e promuoveva l’ecumenismo e il dialogo tra le religioni. La storia del Meeting aveva tanto da imparare su questi temi e per questo, con sempre rinnovata gratitudine, attingevamo al Magistero di Papa Benedetto.
Che commozione ricordarlo oggi, avendo ancora davanti agli occhi quel gesto delle mani che si protendevano verso l’alto ogni volta che salutava o che, nel parlare, esprimeva qualcosa di particolare intensità. Così radicato sulla terra da essersi interessato a me, a noi. Così proteso verso il Cielo da avercelo indicato anche con i suoi gesti!
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