È morto Antonio Pallante, l’uomo che nel 1948 sparò a Palmiro Togliatti. Nato a Irpinia il 3 agosto 1923, è deceduto a 99 anni lo scorso 6 luglio nella sua casa di Catania a causa di complicazioni respiratorie. La notizia del suo decesso, però, è stata tenuta finora riservata dai suoi due figli, che l’hanno comunicata solo oggi alla stampa. Pallante è noto per essere l’autore dell’attentato contro il segretario del Partito Comunista Italiano, contro cui esplose tre colpi di pistola, mentre questi era in compagnia di Nilde Iotti nei pressi della Camera dei deputati, riducendolo in fin di vita.
Quell’attentato portò l’Italia sull’orlo della guerra civile, ma lo stesso Togliatti, dal letto d’ospedale, invitò alla calma, mentre si verificano scontri nelle piazze antifasciste. Pallante quasi due anni fa all’AdnKronos spiegò, in quella che è di fatto la sua ultima intervista, che il suo fu un gesto patriottico, perché voleva mettere l’Italia al riparo dal comunismo, «evitando alla nostra nazione di finire sotto il tallone del comunismo». Non era affatto pentito, ma convinto che fosse la cosa giusta «per salvare il Paese».
“ELIMINARE TOGLIATTI? PER ME UNICA SOLUZIONE”
Antonio Pallante ricordava molto bene quel giorno, il 14 luglio 1948, quando premette il grilletto della pistola calibro 38 a tamburo. Aveva 24 anni ed era uno studente fuoricorso di giurisprudenza a Catania, simpatizzante del Fronte dell’Uomo Qualunque, ma soprattutto ossessionato dalla paura del comunismo in Italia. «Ero convinto che l’unica soluzione fosse quella: eliminare il segretario del partito Palmiro Togliatti», disse all’AdnKornos. Pur sottolineando che quel gesto estremo lo ripugnava, non riteneva di avere alternative. Quindi, da Randazzo, alle pendici dell’Etna, prese un treno solo andata per Roma con la pistola in tasca. Con il passare degli anni ha poi capito che «solo un ingenuo, idealista come me, poteva pensare che eliminato Togliatti avrei risolto i problemi dei miei connazionali, ma io ci credevo». Dopo l’attentato, Antonio Pallante fu subito arrestato, un anno dopo processato per tentato omicidio volontario. Fu condannato e scontò 5 anni e tre mesi di carcere, ma grazie a riduzioni della pena e ad un’amnistia nel 1953.