Tutto si può dire, tranne che il sottoscritto finora abbia lesinato più di un’attenuante al Governo. D’altronde, quando devi scrivere una Manovra in due settimane, incombe sul tuo capo politico la spada di Damocle dell’esercizio provvisorio e su circa 35 miliardi a disposizione, 21 sono giocoforza già ipotecati dal caro-bollette, le tue responsabilità sono oggettivamente limitate.
E la Legge di bilancio che arriva in Aula è ovviamente già scritta in larga parte dall’Esecutivo precedente. Non ammetterlo rientra nella categoria della malafede. Ora, però, la festa degli alibi è finita. E quanto accaduto nelle ultime 72 ore fa capo a una precisa scelta politica. La fine dello sconto sulla benzina, capace di spedire il prezzo del carburante a quasi 2 euro al litro, il contemporaneo aumento dei pedaggi autostradali del 2% e, soprattutto, il criminale +23,3% registrato dalla bolletta dell’elettricità di dicembre fanno capo al Governo.
Perché dopo il primo Decreto, un esecutivo che realmente fosse interessato a tutelare famiglie e imprese, soprattutto le meno abbienti e le più colpite dal post-pandemia, avrebbe convocato a palazzo Chigi i gestori del cosiddetto mercato tutelato e, travisando il meeting con la forma della riunione conoscitiva, avrebbe messo sul tavolo la proverbiale pistola. Come dire, adesso basta aumenti ingiustificati.
Poiché appare doveroso ricordare come l’Authority per la concorrenza di questo Paese abbia certificato pratiche inaccettabili e speculazioni vergognose a partire dalla scorsa estate. Ovviamente, il tutto coperto dal blame on Putin, argomento che questo Governo con diretto riferimento al Dipartimento di Stato ha sposato immediatamente. E con entusiasmo, visto che i cosiddetti aiuti all’Ucraina non hanno patito tagli o battute d’arresto. Invece, la preoccupazione è stata quella di garantire uno spalma-debiti alla Serie A di calcio, ben consci che il panem et circenses resta alla base del consenso in questo Paese. E che fra poco più di un mese si vota in Lombardia e Lazio, fra le altre.
Il sottoscritto vive da solo, non accende l’aria condizionata in inverno (non fosse altro, perché non ce l’ho) e non fa tre lavatrici al giorno: 227 euro di elettricità, scadenza oggi. Mi chiamassi Maurice Bottarellì, oggi sarei in piazza. Con pessime intenzioni. E, insieme a me, qualche altro milione di persone. Non a caso, in Francia il Governo già dallo scorso autunno ha messo un cap agli aumenti in bolletta, mai possibili oltre il 4%. Per legge. Dopodiché, forte del nucleare su cui l’Italia non può contare, ha anche ri-nazionalizzato EdF. Qui viviamo nel Far West energetico.
Ma festeggiamo la grande vittoria italiana del price cap. Utilissimo. Soprattutto ora che la strage di soldati russi nella base militare ha svelato la chiara collaborazione diretta degli Usa nel conflitto, quindi prepariamoci a un Vladimir Putin che metta la Nato e i suoi membri europei nel mirino come non mai. E tanto per non farci mancare nulla, ora dobbiamo scontare anche la rappresaglia della Cina per i controlli negli aeroporti. Già annunciata. Tutte scelte politiche del Governo, ascrivibili totalmente. E che pagheremo carissime. Ma qui in piazza non si va. C’è il campionato di calcio. C’è una città, Milano, che dal 23 dicembre sembra un piccolo comune della Val d’Aosta, ostaggio e protagonista di un lunghissimo, interminabile Ponte.
Martedì ho percorso il tragitto fra Porta Volta e le Colonne di San Lorenzo con la 94 in poco meno di 11 minuti, nonostante la pioggia. Normalmente, in un giorno feriale ci vuole il quadruplo del tempo. Solo il tratto fra Largo Augusto e Corso Italia richiede più di quegli 11 minuti per essere percorso. Come può permettersi un Paese come il nostro un regime simile? Solo una fortunata combinazione di Ponti che permette mesi di inattività con pochi giorni di ferie da spendere, come ricorda un poco edificante ma molto qualificante e chiarificatore manifesto pubblicitario affisso nelle stazioni della metro? No, trattasi di mentalità. Non stupiamoci, quindi, se il Financial Times di martedì apriva la sua prima pagina con un sondaggio tenuto fra dieci economisti, nove dei quali risultavano concordi nel definire l’Italia come anello debole dell’Europa nel contesto di rialzo dei tassi della Bce. E prevedendo una nuova crisi debitoria del nostro Paese. Già quest’anno.
E signori, qui non si tratta di gufare o speculare, non si tratta di scomodare complotti massonici della City contro il Governo patriottico italiano, non si tratta di completare il lavoretto sul Britannia del 1992. Qui si tratta di dati di fatto. Il nostro decennale benchmark è da giorni con un rendimento superiore all’area di allarme sostenibilità del 4,5%. Senza che stia accadendo nulla sui mercati, senza che la Bce abbia più aperto bocca. Senza esercizio provvisorio. Cosa deve far riflettere, quindi? Due cose.
Primo, la contemporaneità fra quel sondaggio del Financial Times e la diffusione del dato sull’inflazione tedesca, scesa su base annua al 9,6% in dicembre contro il +10,2% delle previsioni, il maggior calo su base mensile dal gennaio 2015. Buona notizia, direte voi? D’altronde, ieri mattina lo spread aveva virato nettamente al ribasso. Prezzando una Bce meno falco, visto che l’inflazione molla la presa. Attenti al clamoroso abbaglio. Al netto di una Bundesbank che ha immediatamente gelato gli entusiasmi, parlando di un fattore stagionalità che comunque non consentirà al CPI tedesco di scendere sotto il 7% per tutto il 2023, ecco che un dato simile viene accompagnato da un netto miglioramento del mercato del lavoro in Germania. Insomma, segnali contraddittori. Definiti dalla Bundesbank, una grande incognita di incertezza. Tradotto, la Bce proseguirà con i rialzi. Almeno per le due riunioni del board di inizio febbraio e metà marzo.
Giusto in tempo per quella primavera che, i meno avvezzi ad arruolamenti nelle fila delle cheerleaders di governo, vedono proprio come periodo spartiacque per la tenuta dei nostri conti. Il detonatore? Un possibile effetto Unipol. Ovvero, esattamente come accadde nell’agosto 2020, quando il Ceo, del gigante assicurativo, Carlo Cimbri, annunciò un drastico abbassamento del peso dei Btp nel portfolio di investimenti, giustificato dalla sacrosanta necessità di tutelare i clienti. Dal 55% al 40%. E pochi giorni fa, ulteriore conferma di un ridimensionamento al ribasso. Ecco su cosa si basa quella profezia del Financial Times: la drammatica, drastica e traumatica fine dello schema Ponzi del doom loop di sostenibilità debitoria del Paese, il legame incestuoso fra Tesoro da un lato e banche e assicurazioni dall’altro. Uno shock epocale. Rispetto all’arrivo del quale la domanda da porsi ormai è quando. E non se.
E attenzione, perché nell’agosto 2020 la Bce non stava alzando i tassi. Anzi, stimolava contro la pandemia.
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