LE PAROLE DI BRAMBILLA
Secondo Alberto Brambilla, “tutti coloro che hanno a cuore la sostenibilità di lungo termine del sistema pensionistico, il che significa onorare il patto intergenerazionale e garantire ai giovani che l’Inps riuscirà a erogare anche a loro tra 20/30 anni le pensioni, non possono che denunciare, anzi urlare, contro la proposta di Berlusconi e di Forza Italia di portare le pensioni a mille euro al mese, aggravata ulteriormente dalla richiesta di azzerare la contribuzione previdenziale per tutte le nuove assunzioni”. Il Presidente di Itinerari Previdenziali, quindi, non solo ribadisce che sarebbe deleterio portare le minime a 1000 euro, cosa che incentiverebbe anche il nero, ma spiega che la decontribuzione “costerebbe per il primo anno 2,4 miliardi, quasi 5 nel secondo e 7,6 nel terzo, decretando così in pochi anni il fallimento del nostro sistema pensionistico senza alcuna separazione con la spesa assistenziale, che oggi costa come le pensioni al netto dell’Irpef”.
DEBITO PUBBLICO ITALIA, A RISCHIO LA RIFORMA PENSIONI?
Secondo un recente sondaggio stilato dal Financial Times, oltralpe il nostro Paese viene considerato il vero anello debole e “pericolo numero 1” per l’economia europea. Per questo motivo, potrebbero essere a forte rischio progetti come la Flat Tax o la riforma pensioni 2023 che rivoluzioni una volta per tutte la Legge Fornero. Ne ha parlato oggi il “Sole 24ore” in una lunga analisi di Gianni Trovati proprio a partire dal sondaggio del FT: «Bastano pochi numeri a spiegare le ragioni di tanta concordia, e le motivazioni alla base del pressing crescente che si avverte in Italia contro la prospettiva di un nuovo aumento dei tassi da parte della Bce. I numeri, come sempre, sono quelli del debito pubblico», scrive il “Sole”.
I BTP del 2022 hanno registrato un costo medio all’emissione dell’1,71%, ovvero di oltre 17 volte il minimo storico dello 0,1% (nel 2021 era allo 0,59%): si tratta del livello più alto dai tempi del Governo Monti con l’Italia appena uscita dalla crisi del debito sovrano di fine 2011. «Provvedimenti d’urgenza avviati dall’esecutivo Monti con l’introduzione dell’Imu, la riforma Fornero delle pensioni e così via», riporta ancora Trovati. Per questo motivo viene considerato da Bruxelles piuttosto “pericoloso” l’adoperarsi per una riforma pensioni che vada nel senso opposto della Legge Fornero: i costi alti per tutte le ipotesi in campo – a cominciare da Quota 41 – potrebbero essere osteggiati dall’Ue proprio in virtù del nostro debito pubblico ancora troppo alto. (agg. di Niccolò Magnani)
DURIGON SU QUOTA 41 E OPZIONE DONNA
Secondo Claudio Durigon, nella riforma delle pensioni che il Governo dovrà mettere a punto con i sindacati quest’anno “bisogna mettere tutte le vie d’uscita a sistema, intervenire in modo strutturale. Dare certezze ai giovani che hanno buchi di contribuzione in carriera, anche defiscalizzando le aziende che li coprono. Aiutare le donne e madri. E introdurre Quota 41 secca”. Il sottosegretario al Lavoro, intervistato da Repubblica, spiega anche di ricevere tante mail riguardanti la proroga di Opzione donna, “so che c’è un disagio. Stiamo cercando di trovare coperture per ripristinare i vecchi requisiti di uscita a 58-59 anni senza limiti di figli o altro, almeno per sei mesi. In ogni caso le donne saranno beneficiate dalla riforma complessiva delle pensioni che vogliamo mettere in campo”. Infine, Durigon ricorda che “la platea della nostra Quota 103 è tre volte quella di Quota 102 del governo Draghi. Il tetto all’assegno fino a 67 anni riguarda stipendi medio-alti che sarebbero rimasti al lavoro in ogni caso, quasi ininfluente”.
LE PAROLE DI FORLANI
Natale Forlani, intervistato da Libero, evidenzia che la spesa per integrazioni al trattamento minimo, assegni sociali e sgravi contributivi è raddoppiata dal 2008, “passando da 73 miliardi di euro a oltre 140: è un’indicazione chiara che il problema non è la separazione tra previdenza e assistenza ma che, se le pensioni non vengono assistite dallo Stato, e cioè dai contribuenti, il sistema non sta in piedi. Tanto è vero che, non avendo più soldi per finanziare i trasferimenti, si svalutano le pensioni”. Per l’ex Direttore generale del ministero del Lavoro, “è distorto il meccanismo redistributivo. La povertà è diventata un pretesto per dare soldi a chiunque si dichiara povero. Non c’è una base di accertamento del reddito credibile e l’Inps non ha gli strumenti adeguati per farlo, quindi ci si affida alle autodichiarazioni Isee. Dopodiché una miriade di prestazioni non sono razionalizzate in funzione di un obiettivo, ma sono il frutto di una serie di interventi fatti da un’amministrazione all’insaputa di un’altra amministrazione”.
RIFORMA PENSIONI, L’ANALISI DI VITALE
In un articolo pubblicato su ilcompagno.it, Salvo Vitale spiega che “gli incontri tra Governo e sindacati sul nodo delle pensioni, le contrattazioni su quali lavori siano da ritenere usuranti e quindi suscettibili di avere lo sconto di sei mesi per andare in pensione, rispetto ai tentativi di aggiramento della odiata Legge Fornero, nascondono ipocritamente il problema di fondo del quale si preferisce non parlare: le scandalose liquidazioni e le incredibili pensioni e retribuzioni pagate mensilmente ai grandi dirigenti, sia statali che privati, i burocrati, manager, magistrati e a numerose altre categorie, parlamentari compresi. Parliamo di milioni di euro, spesso di due o tre pensioni incassate dalla stessa persona”.
LA PROPOSTA DI UN TETTO ALLE LIQUIDAZIONI
Per l’autore, “la cosa più doverosa e più banale sarebbe quella di decidere un tetto alle pensioni e alle liquidazioni. Con 100 mila euro l’anno qualsiasi persona, qualsiasi famiglia può vivere agiatamente e consentirsi di soddisfare, se non tutti, gran parte dei piaceri negati ai comuni mortali. Idem dicasi per le liquidazioni, che non dovrebbero superare il tetto dei 100 mila”. A quel punto, “con l’ingente somma rimasta si potrebbero creare migliaia di posti di lavoro e rimpinguare retribuzioni misere, sotto la soglia della povertà, indennità di disoccupazione o, se si vuole, anche il vituperato ‘Reddito di cittadinanza’ che, nella maggior parte dei Paesi europei è in atto ed è la base delle politiche sociali che regolano l’assistenza e l’avvio all’occupazione”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.