I primi giorni dell’anno sono stati contraddisti da alcuni interventi, da parte di membri del Governo, dei vertici dell’Abi e di economisti, per evidenziare i rischi che le politiche annunciate dalla Bce per il 2023 potranno avere per il nostro Paese, chiedendo in alcuni casi all’Eurotower un ripensamento rispetto ai nuovi, ulteriori aumenti dei tassi che, secondo quanto spiegato da Christine Lagarde il mese scorso, saranno varati già a partire dalla prossima riunione del Consiglio direttivo in programma il 2 febbraio.
Come ci spiega Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, «fermo restando che la Bce è indipendente, e nessuno degli interventi di questi giorni mette in discussione tale indipendenza, sul piano intellettuale ci si può misurare e trovo normale che gli stakeholders possano intervenire mettendo in evidenza degli aspetti che a loro risultino più preoccupanti di altri, soprattutto dalla posizione dalla quale osservano lo svolgersi degli eventi. In questo senso trovo sia utile proprio ricordare il contesto in cui ci troviamo».
Prego.
L’economia globale è investita da un’ondata inflazionistica senza precedenti, che sembra aver raggiunto il picco a giugno negli Stati Uniti, laddove la Fed ha effettuato nel corso del 2022 ben sette aumenti dei tassi, portandoli da zero al 4,25%. Probabilmente nell’anno che è appena cominciato le autorità monetarie americane aggiungeranno altri tre quarti di punto. Stiamo parlando, quindi, di un’intensità di rialzo particolarmente sostenuta e senza precedenti negli ultimi decenni. In Europa ci troviamo in una situazione per certi versi analoga, ma anche differente. La Bce, infatti, è stata inizialmente cauta e questo ha fatto sì che nel 2022 siano stati approvati quattro rialzi che hanno portato il tasso sui depositi al 2%. L’Eurotower, inoltre, come sappiamo, ha deciso anche di avviare il cosiddetto Quantitative tightening, riducendo da marzo i reinvestimenti netti dei titoli di stato che giungono a scadenza.
Decisioni che hanno un impatto particolare sull’Italia.
Sì, non tanto e non solo per il rialzo dei tassi di interesse, che chiaramente aumenta il servizio del debito, ma anche perché verrà meno il supporto di un player che ha classato finora nel suo portafoglio titoli di stato italiani per oltre 750 miliardi di euro. Questo ridurrà in maniera importante la domanda sul mercato dei titoli stessi in un momento in cui, come abbiamo avuto modo di osservare in una precedente intervista, il Tesoro dovrà, invece, aumentare le emissioni. Ne conseguirà, pertanto, un (ulteriore) rialzo dei rendimenti di equilibrio.
A fare più rumore sono state le dichiarazioni del ministro della Difesa Crosetto. Cosa ne pensa?
Al di là delle sintesi che ne sono state mediaticamente fatte, emerge una preoccupazione per una condizione congiunturale che permane grave, assai incerta, di fronte alla quale l’Italia, così come altre economie, non potrà contare su una risposta forte che l’Europa ha invece fornito davanti alle emergenze nell’ultimo decennio, dal whatever it takes di Draghi al tempo della crisi dell’euro alle azioni coordinate della Bce e della Commissione europea in risposta all’emergenza pandemica. Dunque, l’Europa e l’Eurozona hanno formulato un quadro di risposte di policy particolarmente importante nel contesto di emergenze precedenti, mentre ora, con un’emergenza forse addirittura più grave e dalle molteplici dimensioni, vediamo una risposta assai più timida. Questa, credo, sia la preoccupazione principale che si legge nelle dichiarazioni del ministro.
Come giudica, invece, l’intervento del Presidente dell’Abi Patuelli?
È un intervento interessante perché pone l’accento su una leva di policy di cui tipicamente si parla meno nel dibattito pubblico. Patuelli mette in evidenza, infatti, che a causa delle straordinarie difficoltà che le imprese non bancarie hanno vissuto l’anno scorso, probabilmente seguirà un aumento degli Npl nei bilanci delle banche, a meno che non ci siano interventi sul quadro regolatorio, interventi che peraltro ci sono stati in precedenza al tempo della pandemia. Le banche, inoltre, stanno risentendo dell’impatto dei corsi dei titoli di stato, diminuiti già dall’anno scorso a fronte del rialzo dei tassi: ciò si traduce in minusvalenze e in un indebolimento patrimoniale delle banche stesse.
Entrambi gli interventi sembrano evidenziare la mancanza di una risposta europea all’attuale situazione di crisi. La considerazione di fondo implicita sembra essere che se la Bce toglie il suo supporto le difficoltà non potranno che aumentare…
Assolutamente. Il ruolo della Bce è importante per almeno due ragioni. La prima è che in grado di intervenire in modo celere, particolarmente efficace, creando, se necessario, anche degli strumenti del tutto nuovi. La seconda è che ha in carico anche la vigilanza del sistema bancario dell’Eurozona e ha quindi un’ulteriore leva rilevante di policy su cui intervenire, anche se, appunto, meno attenzionata nel dibattito pubblico.
Gli ultimi dati mostrano una discesa dell’inflazione in Europa. Questo potrebbe consentire alla Bce di ritardare o attenuare l’attuazione della stretta delineata il mese scorso?
Negli Stati Uniti si ritiene che l’inflazione possa aver raggiunto il picco a giugno anche in virtù dei dati relativi ai mesi successivi che testimoniano un calo monotonico dell’indice dei prezzi, che resta tuttavia elevato, ben superiore al target del 2%. In Europa è ancora presto per stabilire se il picco sia stato raggiunto a ottobre, anche se ci sono due elementi che possono indurre a una valutazione ottimistica.
Quali?
La dinamica dei prezzi del gas e delle materie prime e la possibilità di assistere nei prossimi mesi a una tregua armistiziale tra Russia e Ucraina. Detto questo, però, il tasso di inflazione si mantiene su livelli particolarmente alti, dunque la Bce probabilmente manterrà l’impostazione hawkish annunciata a dicembre non solo per fermare l’impennata inflazionistica, ma soprattuto per abbatterne il livello anche se già declinante, dato che oggi le aspettative di medio termine sono disancorate rispetto al target del 2%. C’è, però, un aspetto su cui credo occorre essere particolarmente cauti.
Di che cosa si tratta?
L’approccio accademico da libro di testo prevede che il Qt venga avviato e si proceda, quindi, alla normalizzazione dei tassi di interesse con la sua contemporanea rimozione. Occorre, però, considerare che l’Eurozona non è un Paese, non è un’economia, ma un aggregato di 20 economie, con livelli variabili di integrazione e di vulnerabilità. Dunque, è soggetta ad attacchi speculativi e l’intervento della Bce sul mercato secondario dei titoli serve anche ad assicurare la corretta trasmissione di impulsi di politica monetaria. Dato, quindi, che l’Eurozona non è un costrutto lineare, ma è un unicum, occorre essere particolarmente cauti nell’applicare la teoria economica a situazioni ibride di questo tipo.
Per assicurare la corretta trasmissione degli impulsi di politica monetaria è stato però appositamente approvato il Tpi…
È vero, ma è un tipo di strumento che crea uno stigma poiché si attiva rispetto a uno specifico Paese e non all’intera Eurozona: la sua efficacia è soprattutto ex ante, evitandone l’attivazione. Un poò come accadde nel 2012 con l’introduzione dell’Omt, mai utilizzato. Nel momento in cui fosse attivato probabilmente ci potrebbero essere delle conseguenze difficilmente prevedibili. L’uscita dal Tpi rimane, poi, un altro aspetto problematico. Non vorrei che agevolasse, invece, l’ingresso verso un vero e proprio programma Mes… Per questo è bene che ci sia una cautela estrema rispetto a un suo ipotetico utilizzo.
Intanto negli ultimi giorni abbiamo visto lo spread riavvicinarsi ai 200 punti base.
Sì, ma come sappiamo le valutazioni dei mercati possono cambiare repentinamente. Per questo il modo più efficace di stabilizzare lo spread è adottare un metodo di lavoro nuovo. L’idea, in sintesi, è che ogni misura approvata dal Governo preveda una ricaduta esplicita in termini di crescita economica del Paese, tale ricaduta venga elaborata e, quando possibile, anche quantificata. Occorre, poi, comunicarlo in maniera credibile all’opinione pubblica e ai mercati per stabilizzarne correttamente le aspettative.
Una sfida in più per il Governo.
Dopo l’approvazione della Legge di bilancio, che è stata indubbiamente accolta positivamente dai mercati, è cominciata una nuova fase in cui verranno premiate solo quelle misure volte a dare un impulso alla crescita. Questo perché la sostenibilità dell’enorme debito pubblico italiano non può che passare dalla crescita. I mercati saranno, quindi, particolarmente esigenti nel richiedere al Governo Meloni misure coerenti con questo obiettivo, peraltro insito nel Pnrr e nel programma elettorale del centrodestra. Occorrerà passare alla dimensione implementativa di questo obiettivo, perché la situazione esterna non consente ulteriori dilazioni.
(Lorenzo Torrisi)
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