Esattamente il 29 dicembre scorso il Parlamento ha approvato la riforma delle pensioni 2023riforma delle pensioni targata Meloni che avrà una durata veramente minima. L’obiettivo del governo infatti, come è stato più volte dichiarato, e quello di raggiungere una quota 41 pura, senza il paletto dell’età anagrafica. Alberto Brambilla boccia la riforma e chiede un ritorno a quota 102, ma con delle correzioni.
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Riforma pensioni 2023: per Brambilla il sistema va corretto
Ma lo scenario è stato già bollato come “insostenibile” da Alberto Brambilla, il presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. Dal 2018 al settembre 2020 è stato consigliere economico della presidenza del Consiglio dei Ministri, ma anche sottosegretario al welfare durante il secondo e terzo esecutivo Berlusconi. Quindi non esattamente un uomo di opposizione, ma che comunque non ripone una grande fiducia nell’attuale riforma pensioni 2023governo Meloni.
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Secondo Brambilla infatti occorre introdurre stabilmente quota 102 e limitarsi a soltanto tre correttivi per la riforma pensioni della Fornero. La legge Fornero infatti è l’unica legge veramente strutturale ed è considerata insostituibile non soltanto da Elsa Fornero ma anche da altri analisti. non esiste una vera alternativa alla legge Fornero, ma soltanto delle correzioni che è più logico operare anno per anno, a mano a mano che ci si avvicina al 2030, l’anno in cui entrerà in vigore il sistema contributivo puro.
Riforma pensioni 2023: il ritorno a quota 102 è la soluzione?
Per Alberto Brambilla è necessario che la condizione dei contributi puri venga equiparata con quella degli altri lavoratori, visto che la riforma Fornero la ampiamente svantaggiata. I vincoli di accesso alla pensione sono pari a 2,8 volte il minimo per la vecchiaia anticipata è 1,5 per la vecchiaia con il rischio di aumentare da 67 a 71 anni l’età di pensionamento. Brambilla è convinto che la riforma pensoni della Fornero abbia enormemente svantaggiato i giovani che si trovano in una condizione di discontinuità contributiva, ma il metodo contributivo oggi non contempla un’integrazione al trattamento minimo di cui beneficia il 25% dei pensionati.
Si tratta dunque di un’integrazione sui valori pari al minimo o alla maggiorazione sociale compresi tra 517 e 654 mensili che vengono quindi calcolati aumentando la pensione in base al calcolo relativo al numero di anni in cui è stata effettuata l’attività lavorativa.
Per Durigon, sottosegretario al Lavoro, invece la riforma pensioni 2023 deve comprendere un’integrazione di Opzione donna formulata sulla base della precedente strutturazione.
La soluzione, almeno per adesso sarebbe quella di applicare tre correttivi a quota 102. Insomma, unaquota 102 corretta