Il nuovo sito di Raffaello Lucci, pittore astrattista (se proprio gli vogliamo dare un’etichetta), contiene la narrazione della sua vita unitamente all’evoluzione della sua poetica. Come si può constatare dal sito stesso la vita e l’estetica di un artista vanno di pari passo e si incrociano continuamente, perché la chiamata dell’arte inevitabilmente incide nell’esistenza (forse dovrei dire che “incide l’esistenza”, così come il bulino i metalli) e quest’ultima, l’esistenza, con le sue vicende, retroagisce improntando l’arte stessa. Così egli presenta sé stesso: “operaio, grafomane, coloraio per necessitata endoterapia”.
L’arte, per chi la vive o ne fruisce, è ananke, cioè necessità. Nel mito di Er, Platone ci presenta Ananke come colei che determina la vita psichica. In altri termini, l’arte continua a “chiamare” le anime, come la religione o il lavoro, cui il termine tedesco Beruf, secondo la riflessione weberiana, rimanda, significando appunto un “esser vocati”. Il sito è complesso e molte sono le voci che esso presenta e che articolano il percorso di Lucci nei decenni della sua pittura: “lettere al blu; opere; collezioni; bibliografia; mostre, incarichi, happenings; videocartelle – youtube; barene”.
Quella di Lucci è una pittura seria, ai limiti dell’austerità, disciplinata dalla cura della propria interiorità. La sua non è una poetica affine a quella di Paul Klee, che comunque concede spazio al mondo naturale insieme a quello fantastico, né giocosa come quella di Mirò, quando in lui domina la pura fantasia, ma esprime un’estetica densa di formidabili cromatismi, impressionanti nella loro vividezza e sinuosità, capaci di rinfrancare lo spirito. La ricerca del colore è certamente un frutto della precedente professione di chimico.
Il suo, come ha suggerito Antonio Paolucci, è un astrattismo lirico, che si apre a una sinestesia con altre arti, come la musica. Le sue opere, da alcuni punti di vista, richiamano le musiche al pianoforte di Ludovico Einaudi, per esempio quelle dell’album titolato Divenire. È il caso della collezione Kyclos, dove i colori, oscuri o luminosi, descrivono il ciclo della vita, che è poi quello dell’“eterno ritorno” della filosofia antica, che ignora la linearità temporale. Nei quadri di Kyclos traspare il calore della vita, che scaturisce progressivamente dal buio notturno per poi affondare nuovamente, al termine del percorso, nell’oscurità di un nero vellutato. Lo sguardo del visitatore trae conforto dalle macchie via via più luminose di colore, che danno luogo all’alba, a stento confinate in forme geometriche rettangolari imperfette, per dare il senso di ciò che è indistinto. Il giorno, come i nostri percorsi esistenziali e ontogenetici quando si avviano alla akmè della pienezza (per i greci tra i 35 e 40 anni), non può essere colto dalla nitidezza della geometria, ma permane con/fuso tra luci e ombre.
La pittura di Lucci è pura interiorità, quasi una forma di protesta verso l’eccesso di stimoli esterni che ci colpisce nel mondo postmoderno. Essa contiene figure astratte che sgorgano dalla sua interiorità, senza alcuna mediazione. Ma l’interiorità dell’uomo odierno è tracollata e con essa la sessualità che ne è espressione: non a caso Luigi Zoja diagnostica il declino del desiderio. Anche per questo Lucci si ancora all’impegno sociale, per evitare il vuoto che segue quel tracollo e, al contempo, per allontanarsi dalla strada di un’arte emozionalistica, solo in certi casi interessante, come quella di chi ripropone la Pop Art, utilizzando i segni e i personaggi dell’industria culturale attuale.
Per questo egli è anche un pittore engagé e il suo impegno emerge in maniera perspicua nell’insieme di opere che raccolgono gli articoli dei diritti del bambino e dell’adolescente, secondo la Convenzione Onu del 1989. Qui compare un’altra delle scoperte di Lucci: quella del colore bianco, che irraggia nei quadri un tocco di assoluto. Il bianco infonde una luce perspicua sui fogli sopra i quali sono impressi, con la tecnica della calcografia, gli articoli della convenzione, riproposti poi con calligrafia nera ai piedi di ciascuna tavola. Il bianco, nella sua assolutezza, è coerente con l’elevatezza degli articoli della Convenzione, che rappresentano i doveri degli adulti verso i bambini, e contemporaneamente esprime il carattere privo di condizioni, legibus solutus, di quegli stessi doveri, che si radicano nei diritti umani.
L’arte di Lucci non è solamente arte e, se provoca nel visitatore un sentimento estetico, tuttavia non ha una mera eco di piacevolezza. Chi guarda – come suggerisce l’ermeneutica – viene coinvolto dall’arte, con la stessa pulsione estetica di chi ha creato le opere. Lucci pretende molto, anzitutto da sé stesso, e rifugge la visione della soggettività kantiana per la quale il giudizio estetico viene amputato della portata conoscitiva. L’arte è anche conoscenza, anzitutto come autocomprensione storica e cioè coscienza della società in cui viviamo, nonostante la sua natura diversa dalla scienza galileiana. Non si può escludere, infatti, che la bellezza migliori anche la nostra conoscenza. Secondo Gadamer e Jauss, l’esperienza estetica modifica colui che la compie, producendo una conoscenza maggiore rispetto a quella precedentemente posseduta. C’è una crescita dell’essere: questa è la principale finalità della poetica di Lucci.
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