Napoli è un luogo dell’immaginario collettivo nazionale. L’esotico vicino e per tutte le tasche. Lo si capisce osservando i turisti che l’hanno affollata durante le feste natalizie alla ricerca di un’esperienza inusuale da poter raccontare al ritorno a casa o sui social.
Napoli va di moda, giornali, televisioni e influencer di tutte le tipologie contribuiscono ad alimentarne l’interesse e sono sempre di più i visitatori ad essere vittime di quella che qualcuno ha chiamato la “malìa” della città. Tanti, tantissimi turisti si sono riversati sulla capitale di quello che fu il Regno delle Due Sicilie in un’invasione variopinta e che ha fatto sì che qualche giornalista sancisse in modo entusiastico il “rinascimento” della città; l’ennesimo, verrebbe da dire.
La transizione che ha portato Napoli a diventare una città a vocazione turistica è iniziata con la prima amministrazione de Magistris ed è arriva a compimento in questi primi anni della giunta Manfredi. Un processo che non è stato mai realmente governato dalle ultime due amministrazioni cittadine, che sostanzialmente si sono limitate a prendere atto che la città è diventata una meta del turismo di massa internazionale, accontentandosi di affidarsi all’inventiva dei propri commercianti e imprenditori e alla pazienza, ai limiti della rassegnazione, dei suoi abitanti. Una trasformazione all’insegna della deregolamentazione e della libera iniziativa.
Uno strano destino per due amministrazioni fra le più a sinistra della storia recente d’Italia, le quali hanno assecondato la tendenza all’anarchia della città che ha prodotto una disordinata corsa ad afferrare le opportunità fornite dal turismo, come dimostrano locali di ogni tipo che hanno allargato i propri spazi ai danni della viabilità e senza alcun rispetto per i millenari luoghi del centro storico.
In modo indolente e senza interrogarsi sulle conseguenze della trasformazione in atto, Napoli ha accettato un modello di sviluppo basato sul turismo di massa che ne ha cambiato, se non addirittura deturpato, il volto. Ad esempio, il centro storico cittadino, che qualcuno ha deciso di battezzare come il paradiso dello street food, è diventato una rosticceria a cielo aperto. Un processo che ha come protagonisti pizzaioli, pescivendoli e ristoratori, la nuova autoproclamata classe dirigente cittadina pronta ad elargire su giornali e social la propria visione del mondo su qualsiasi argomento che riguarda la città.
Per chi abita nei quartieri popolari del centro storico la qualità della vita ha risentito fortemente dell’impatto del turismo di massa. L’esempio emblematico del paradosso che vive la città è lo spettacolo che offre la fermata metro di Toledo, con cittadini alle prese con lunghe attese e costretti a slalom fra turisti impegnati a fare fotografie – Toledo è stata definita la fermata della metro più bella del mondo – per poi essere stipati in vetture affollatissime e mai puntuali. Napoli non riesce ad essere una città normale e paradossalmente ha fatto della sua incapacità ad esserlo il suo core business, innescando un cortocircuito fatto di turisti alla ricerca degli aspetti più pittoreschi della città che però per i cittadini rappresentano aspetti di una quotidianità sempre più difficile da vivere, fra affitti ormai proibitivi e mercati popolari dai prezzi sempre più alti.
A ben vedere, il modello di sviluppo che la città ha adottato si basa su una produzione immateriale di immagini e stereotipi che vengono venduti a chi vuole confermare la propria idea, positiva o negativa che sia. Un gioco pericoloso che rischia di trasformarla nella propria caricatura, che non si cura delle eccellenze del proprio territorio – che spaziano dall’artigianato all’aerospazio – e rimuovendo il tema delle sterminate periferie e del sempre più invivibile centro storico.
La città sta cambiando volto e lo sta facendo nel modo più superficiale possibile, fornendo materiale per saggisti e romanzieri ma senza affrontare temi dirimenti per il suo futuro, come l’autonomia differenziata e la questione del personale che dovrà gestire il Pnrr, argomenti che sembrano interessare solo i piccoli e autoreferenziali circuiti intellettuali cittadini. Napoli preferisce vivere nell’illusione di un altro fittizio rinascimento, a uso e consumo di chi ha deciso che la città debba diventare una cartolina da vendere nel numero più alto possibile. Anche a costo di trasformare la sua complessa e ineffabile singolarità in un prodotto dozzinale.
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