Quando si tratta di promesse elettorali, i politici italiani hanno pochi rivali al mondo. Quando, ottenuto il potere, dalle parole si deve passare i fatti, la maschera ci mette un attimo a cadere. E il vero volto si disvela. Prima la bolletta di dicembre aumentata del 23,3%, poi i prezzi impazziti del carburante a seguito del taglio sullo sconto delle accise.
Nel weekend del ponte dell’Epifania, sulle autostrade di alcune aree del Paese, il diesel viaggiava sopra i 2,5 euro al litro. E se già si registrano file di italiani in coda per fare il pieno a San Marino o in Slovenia, francamente non stupirebbe se la macchina del tempo messa in azione dal Governo Meloni ci regalasse a breve il déjà vu di lombardi che varcano il confine per raggiungere i distributori del Canton Ticino.
E qui, gli alibi scarseggiano. Non è colpa di Mario Draghi. Non è colpa delle scarse risorse a disposizione. Udite udite, questa volta non è nemmeno colpa di Vladimir Putin. Trattasi puramente di speculazione da avidità e da omesso controllo. Non a caso, il ministero delle Finanze – con tempismo da recinto spalancato e guardiano dormiente – ha chiesto alla Guardia di Finanza di indagare su eventuali pratiche distorsive. E magari, cartelli. Un po’ tardi. Come d’altronde avvenuto con la bolletta energetica di dicembre: la pistola sul tavolo con i gestori del mercato tutelato andava messa prima, occorreva inviare un segnale chiaro dopo quella finanziaria tutta incentrata sul caro-bollette. Invece, la pacchia questo Governo millanta di farla finire solo per l’Europa. Per chi specula su energia e carburanti, Bengodi garantito.
D’altronde, l’importante è che i cagnolini ammaestrati della stampa allineata vendano ai loro lettori il price cap come grande risultato pratico, oltre che politico. Chiaramente, invitando tutti a un supplemento di pazienza: da marzo, le bollette torneranno umane. E guardate cosa vi dico io: da aprile, il riscaldamento sarà spento. Statene certi. In compenso, vi chiederanno di sudare per Kiev. Insomma, l’inverno travestito da primavera ha giocato a favore dei Governi Ue e contro Vladimir Putin. Per tutti. Tranne che per gli italiani e le loro tasche. Perché in questo Paese di proclami non esiste uno scudo statale contro il caro-bollette. Ce l’hanno tutti. E non solo la Francia, la quale lo ha varato addirittura la scorsa primavera con un +4% di tetto massimo di aumento. Persino la Spagna e la Grecia. Qui, invece, Far West. Davvero un Governo che si preoccupa di famiglie e imprese, finalmente.
Ma il peggio è alle porte. E vi invito a riflettere, in tal senso. Prima la proposta di riapertura della pipeline Yamal-Europe, poi la telefonata fra Vladimir Putin e Recep Erdogan, il cui esito è stata la proposta di tregua per il Natale ortodosso e l’ok a una mediazione multipolare che triangoli le richieste delle due controparti verso l’Onu. Ora, lasciate stare l’esito fallimentare che Kiev ha voluto imporre a quelle 48 ore di stop ai combattimenti. Quell’apertura russa al dialogo è avvenuta nonostante l’attacco alla caserma compiuto da Kiev con la diretta collaborazione dell’intelligence Usa, altro che telefonini accesi usati come transponder.
Domanda: perché Mosca può (e vuole) azzardare determinate mosse, forse sente la sconfitta sempre più vicina? Tutt’altro. Perché l’Europa ha regalato ufficialmente la Russia all’influenza cinese. Anzi, qualcosina di più: alla dipendenza cinese. Questa immagine è stata elaborata da JP Morgan su dati ufficiali: di fatto, Pechino ha già riassorbito tutti gli acquisti energetici russi che il Vecchio continente ha abbandonato in nome delle sanzioni e dell’affrancamento dal giogo di Mosca.
Per quanto vogliano venderci la panzana di un ministero delle Finanze e di una Banca centrale russa disperati, le casse del Cremlino sono già oggi più che al sicuro. Nonostante l’enorme sconto che la Cina avrebbe ottenuto da Mosca rispetto ai prezzi di mercato. Se il primo default russo è stato vanificato dall’avidità di quello stesso Occidente che a parole voleva perseguirlo, stante la mancanza di coraggio nell’attivare in asta le clausole dei credit default swaps sulla prima scadenza non rispettata, ecco che oggi la mano visibile di Pechino opera da garante assoluto, da prestatore di ultima istanza del comparto-chiave dell’economia russa. Insomma, se pensavamo di mettere in ginocchio Mosca con il price cap su petrolio e gas, ripensiamoci. Pechino ha cancellato mesi e mesi di trattative con una firma. Forse, solo un accordo verbale. Ci siamo solo fatti male da soli. E davvero tanto, quantomeno in prospettiva.
E quale giustificazione adducono i russofobi di turno a tutto questo? Ci vuole tempo, comunque sia la Russia dovrà cedere, dopo che l’inverno avrà consentito a Kiev di non crollare. Ora, che quella russa sia un’economia sclerotizzata è noto. Quando basi giocoforza le tue entrate unicamente sull’export energetico (o poco più), chiaramente sei ostaggio. Ma un ostaggio con parecchio margine di manovra, stante l’interdipendenza quasi paritetica con il rapitore. Il quale ha bisogno di te, quanto tu di lui. E se qualcuno pensava che Mosca venisse travolta da una sindrome di Stoccolma che avrebbe mandato all’aria il surplus di bilancio garantito dall’energia, ha sbagliato i suoi calcoli.
Primo, perché non ha ceduto sul fronte bellico. Secondo, perché non ha atteso nemmeno un secondo per rivolgersi a chi non attendeva altro che una “fuga” dal luogo del sequestro. Ed ecco che, al netto dell’off-setting cinese rispetto alle sanzioni e al price cap europei che garantisce le casse statali, il dato strutturalmente, sistematicamente e geopoliticamente esiziale di quanto accaduto emerge plasticamente da questa seconda immagine.
Mosca non ha solo accentuato a livello assoluto la sua dipendenza di export energetico da Pechino, ha di fatto ribilanciato gli equilibri di portfolio e riserve del Fondo sovrano sulle esigenze cinesi. Più yuan, più oro. Tradotto, de-dollarizzazione che accelera. E, soprattutto, implicito prodromo della nascita del petro-yuan. Come si muoveranno ora i rimanenti Brics, India e Iran in testa? E l’Opec, Arabia Saudita in testa? Quanto crescerà l’interscambio bilaterale di commodities in valuta cinese o comunque svincolato dal biglietto verde e dal suo ruolo benchmark? E quanto accetterà l’America che il dollaro divenga riferimento unicamente per la finanza e non più per gli hard assets, quelli che sfuggono dalle logiche distorsive del monetarismo?
Tutto questo, è già in movimento. E contempla un Big Bang che rischia di travolgerci, se continueremo a ignorarlo. Per schematismo ideologico, culturale o pregiudiziale. Caso strano, proprio in Germania nel weekend sarebbe stato sventato un attacco con armi chimiche da parte di due cittadini iraniani. E in Brasile, qualcuno ha voluto platealmente rendere noto a Ignacio Lula da Silva come l’era dei rapporti privilegiati con Russia e Cina debba finire. Altrimenti, la prossima volta i gitanti potrebbero essere armati. E, più che altro, l’esercito alla testa dei rivoltosi. E in questo caos da anime nere e cavalieri di ventura, attenzione alla mossa russa di bollare come inaccettabile la presenza dell’Italia come Paese mediatore, poiché schierata al fianco di Kiev. Qualche commessa in più per la Difesa potrebbe costarci cara. Carissimo.
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