La galassia terrorista islamica ha aggiunto una tessera al suo puzzle nel Sahel, in Nord Africa. Infatti venerdì 9 dicembre, lo Stato islamico pretenziosamente autoproclamato nel Grande Sahara (Eigs), il ramo nordafricano di Daesh, mediaticamente, in video, con un grande gesto propagandistico ha giurato fedeltà al nuovo califfo del terrorismo islamico, Abu al Hussein al Husseini al Qurashi.
In Francia la notizia è stata riportata da Le Monde. Il giornale sposa in pieno la tesi propagandistica dietro al video diffuso dai terroristi. Viene evidenziato inoltre il monito espresso con la notizia a tutte le altre forze governative o non governative presenti nello scacchiere del Sahel. Eigs, propaggine di Daesh nel Sahel, vuole oltremodo ostentare la compattezza e la potenza del fronte islamico. Antagonisti dell’Eigs in generale sono gli islamisti del Gsim, i Tuareg del nord del Mali e l’esercito francese che è ancora presente in Niger ma è ripiegato dal Mali e dal Burkina Faso, dove era attiva l’operazione “Barkhane”. Operazione cessata dopo i recenti golpe militari.
Nello scacchiere sahariano a cavallo tra Niger, Mali e Burkina Faso l’Eigs avrebbe, condizionale d’obbligo, qualche migliaio di uomini. Come detto, truppe francesi e una missione Onu a partecipazione italiana sono ancora presenti in Niger. Ma in Mali e Burkina Faso a contrastare gli islamisti sostanzialmente sono rimasti solo i mercenari russi di Wagner e l’esercito del Mali. Wagner tuttavia per la natura mercenaria, per risorse e per forza organica non ha volontà né capacità di respingere né contrastare le milizie islamiste. L’intervento di Wagner e delle forze maliane si limita quindi alla deterrenza preventiva anche dopo l’uscita del video di propaganda. La presenza divisiva di Wagner inoltre ha spezzato il fronte anti Daesh in quanto i Paesi dell’area non hanno tutti una visione positiva dei mercenari russi. Gli stessi Usa difficilmente interverranno a fianco di una milizia, nemica in altri scacchieri. Questo allontana e rende più difficoltosa la stabilizzazione della regione.
Per approfondire l’argomento abbiamo interpellato un esperto della materia il dott. Paolo Cardoso. Paolo Cardoso è uno psicoterapeuta, che si occupa da anni di psicologia del terrorismo anche in collaborazione con l’Università di Pisa. Egli inoltre ha svolto attività di formazione sugli indicatori di radicalizzazione dei terroristi con le forze dell’ordine ed in special modo con l’arma dei carabinieri. Abbiamo quindi posto delle domande al nostro esperto per approfondire lo scenario del terrorismo islamico anche alla luce della dissoluzione territoriale di Daesh. Da questo punto di vista infatti la distruzione territoriale di Daesh ha proiettato nel mondo une serie di potenziali metastasi terroristiche.
Dottor Cardoso, per cominciare, e semplificare per i nostri lettori, che differenza corre tra Isis, Daesh e al Quaeda?
L’Isis è l’acronimo che indica l’autoproclamato “Stato islamico dell’Iraq e della Siria”, nato dalla costola di al Qaida in Iraq, creata da Abu Musaq al Zarqawi per contrastare l’occupazione occidentale del Paese che nel 2003 aveva rovesciato la dittatura di Saddam Hussein. Isis e Daesh sono la stessa cosa. Daesh significa “Al dawla al islamiya fi al Iraq wal Sham” (Stato islamico dell’Iraq e del Levante). Al Queda significa letteralmente “La base”. Sin da subito al Queda e Daesh si sono differenziate per strategie e metodi. Con Abu Bakr al Baghdadi l’obbiettivo dell’Isis divenne la creazione del califfato. Per al Queda il califfato si doveva realizzare in futuro. Nacquero quindi profonde differenze e conflitti che ancora oggi persistono. L’unico obiettivo condiviso era e resta la lotta all’Occidente ed ai suoi principi.
La disarticolazione territoriale del califfato in Siria ed Iraq ha concluso l’esperienza del califfato?
Assolutamente no. Abu Bakr al Baghdadi diceva che dove esiste un combattente di Daesh, là esiste il califfato. Infatti, a tutt’oggi nella fascia sahariana, dalla Nigeria all’Etiopia vi è una fortissima presenza di Daesh, ma anche di al Quaeda. Queste due organizzazioni sono sovente in contrasto tra loro sia per le scelte strategiche che per l’ideologia che è a tratti divergente sul piano religioso. Di fatto però verso l’esterno si sostengono a vicenda. Vanno registrati semmai contrasti interni tra le varie componenti all’interno di Daesh.
La Francia ha abbandonato il Mali. Che succederà ora?
La giunta golpista ha di fatto espulso l’esercito francese e lo ha sostituito con i mercenari russi della compagnia Wagner. I quali non sembrano abbiano molta voglia di scontrarsi con l’Isis, dato anche il loro esiguo numero. Comunque, le risorse del Mali, fosfati, manganese, oro, uranio, bauxite, fanno gola a tutti. Così come il petrolio della Nigeria. In fondo, dietro ogni guerra di religione, quindi anche dietro la ricostruzione del califfato, si celano motivi più cinicamente economici. In questo caso ai terroristi interessano le risorse naturali del territorio.
Gli islamisti sono attivi solo in quest’area?
Decisamente no, basta pensare che il 30 dicembre i combattenti dell’Isis, presenti nel Sinai, hanno attaccato un presidio dell’esercito egiziano. Vi è poi una forte presenza dell’Isis nelle Filippine, e un po’ in tutta l’Asia del sud-est. Mentre al Qaeda è molto presente in Afghanistan ed in Pakistan.
Secondo lei esiste ancora un rischio attentati in Europa?
Il rischio esiste sempre. Lo dimostrano gli arresti che ogni tanto vengono effettuati in Europa, anche se vi è stato un indubbio calo degli attentati di matrice religiosa. Secondo il Global terrorism index, il terrorismo è diventato più concentrato, con 119 Paesi che non hanno registrato morti nel 2022. Il miglior risultato dal 2007. In Occidente, gli attacchi di matrice politica hanno superato gli attacchi religiosi, che sono diminuiti dell’82%. Ci sono stati cinque volte più attacchi politici che attacchi religiosi. Ma sarebbe un grave errore abbassare la guardia.
Che attività vede in prospettiva per evitare un riacutizzarsi del problema in Europa?
In primis serve una costante attività di intelligence e di coordinamento tra le nazioni. Occorre poi prestare una grande attenzione ai segnali di radicalizzazione dei giovani musulmani. Nelle periferie povere di molti Paesi europei i reclutatori dell’Isis trovano spesso un terreno fertile. Solo con una reale sinergia tra tutte le istituzioni che operano in quelle aree si può attuare una efficace prevenzione. Farsi distrarre da altri gravi avvenimenti, come la guerra in Ucraina, sarebbe un regalo ai terroristi islamici che pagheremmo a caro prezzo.
(Giorgio Laici)
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