Et voilà, il paradosso del Btp è servito. E con tanto di prima pagina de Il Sole 24 Ore. Insomma, il fatto che la Bce minacci aumenti dei tassi e invece il rendimento del nostro decennale benchmark continui a scendere è divenuto notizia. E in effetti, spread in area 180 e yield sotto al 4% rappresentano notizie. Buone, ufficialmente. E apparentemente. Ma siccome di questa faccenda stiamo parlando da giorni, meglio approfondire. Perché sul mercato ci sono segnali interpretabili. E altri che invece non lasciano spazio all’interpretazione. E il doppio binario imboccato dal nostro spread fa parte della seconda categoria: il piano inclinato dell’insostenibilità del debito italiano è entrato in modalità ponte levatoio.
Perché lo spread Btp-Bund continua a calare, alla faccia dei proclami dell’Eurotower? Semplice, perché fa riferimento non alla situazione macro del Paese, all’oggi ma soltanto al livello di schermatura garantito dalla stessa Bce. La quale, al netto del ruolo da poliziotto cattivo interpretato alla perfezione negli ultimi giorni dalla ex colomba Isabel Schnabel, sa benissimo che l’inflazione non rappresenta più l’urgenza numero uno. Quantomeno nei Paesi dove esiste un calmiere al caro-energia e le dinamiche salariali stanno conoscendo un aumento, nonostante gli accademici e interessati (per le imprese) timori di spirale. Ovviamente, l’Italia non è fra questi. Ed ecco, quindi, che appena si va in asta per collocare nuovo debito, quello che sconta e prezza già oggi una Bce meno operativa e onnivora a partire da quest’anno, salta il banco. E cade la maschera.
Nel collocamento di mercoledì il Tesoro ha emesso 7 miliardi di Bot a 12 mesi, dovendo però garantire un rendimento pari a 3,086%. Un aumento di 42 centesimi rispetto all’asta del mese precedente! Il Bot annuale ha così varcato al rialzo la soglia del 3% lordo per la prima volta dalla metà del 2012: per trovare uno yield maggiore occorre risalire al luglio 2012, quando il tasso sulla scadenza a 2 mesi si attestò al 3,972%. Ma signori, all’epoca eravamo ancora in pieno fall-out da crisi greca e da quasi default del Governo Berlusconi. Per capirci, Mario Monti aveva appena tolto il loden e posato le terga sulla poltrona di palazzo Chigi.
E attenzione anche al bid-to-cover, il rapporto fra domanda e offerta per quell’emissione: formalmente, 1,39 non può certo essere tacciato di risultato catastrofico. Ma parliamo di un Bot che ha pagato oltre il 3% di rendimento sulla scadenza a 1 anno, sfondando una quota psicologica che rischia di diventare più spartiacque del 4,5% fissato come area di allarme del decennale benchmark. E che aveva resistito fino a pochi giorni fa. Perché avanti di questo passo, qualche sconsiderato potrebbe cominciare a puntare il bersaglio grosso: l’inversione sulla curva dei rendimenti.
Guardate questo grafico: ci mostra il perché le minacce della Bce vengano ritenute dal mercato sovrastimate.
Perché si prezza una Germania in versione colomba, stante il nuovo e più incombente allarme della recessione alle porte. L’inversione proprio sulla curva dei rendimenti dei bond tedeschi – in questo caso fra le scadenze a 2 e 10 anni, il canarino nella miniera del rischio – ha appena raggiunto il suo livello più estremo da 30 anni a questa parte. Tradotto e reso semplice, il premio che il titolo a 2 anni paga rispetto a quello a 10 anni – a fronte di una dinamica che normalmente vede avverarsi il contrario – è tornato ai livelli di inizio anni Novanta. Insomma, il mercato non ritiene più prioritaria la compensazione di rischio sul futuro a lungo termine connaturata nello yield di un decennale. E si focalizza invece sul premio che richiede per detenere debito nel medio termine. Ovvero, da qui a 2 anni. Tradotto ulteriormente, i timori per la recessione in arrivo sono di quelli davvero seri. Ma signori, stiamo parlando della Germania. Traslate questa dinamica all’Italia con le sue criticità storiche e attuali ed ecco spiegato il doppio binario. E persino la differenza di risultato ottenuto a sole 24 ore di distanza l’una dall’altra dalle aste di Bot a 12 mesi e Btp a 7 anni.
Si teme l’oggi. E si premia invece il debito in detenzione, quello schermato dalla Bce che riposa sereno nelle detenzioni da reinvestimento dell’Eurotower o nei bilanci di banche e assicurazioni (italiane). O, comunque, quello che va oltre l’orizzonte temporale tipico dei danni da recessione, incorporando quindi un nuovo stimolo. Ecco perché la Bce minaccia ma lo spread scende. Ma ecco anche perché lo spread scende ma in asta i rendimenti di nuovo debito, salgono. E quest’anno sono oltre 400 i miliardi di debito a medio e lungo termine che l’Italia deve rifinanziare. Senza più una Bce iperattiva.
Ecco perché quel 3% lordo sui 12 mesi conta. Ecco perché occorre prestare attenzione alla dinamica tedesca e temere un’inversione sulla curva. E un potenziale detonatore per questa traiettoria di insostenibilità appare alle viste. I sindacati francesi hanno proclamato mobilitazioni a oltranza a partire dal 19 gennaio contro la riforma delle pensioni voluta da Emmanuel Macron e che innalza l’età da 62 a 64 anni. Conoscendo CGT e soci e alla luce di quanto accaduto con i Gilet gialli, la cui nascita giova ricordare che era legata all’aumento del prezzo del carburante alla pompa (ring any bell?), il rischio di un contagio nei Paesi più indebitati e socialmente instabili è altissimo. E se Spagna e Grecia hanno dato vita a schemi di tutela per le fasce meno abbienti, l’Italia arriva nuda alla meta. E senza possibilità di deficit o scostamento.
Ancora una volta Parigi sarà l’iskra leninista, la scintilla della rivolta nel cuore dell’Europa? Ci attende un altro Maggio francese anticipato? Il silenzio dei sindacati italiani, in tal senso, è addirittura assordante. E decisamente rivelatore di una paura ormai giunta al livello di allarme. Perché preoccupati come sono da anni di tutelare unicamente l’unica fascia sociale che garantisce loro tesseramenti e rappresentanza, ovvero i pensionati, Cgil-Cisl-Uil non solo appaiono divise sull’approccio da tenere nei confronti delle politiche del Governo, ma, soprattutto, totalmente incapaci di intercettare e convogliare il malcontento che cova sempre più sotto la cenere di un Paese in modalità pentola a pressione.
Insomma, giova ripeterlo per l’ennesima volta in pochi giorni: attenzione all’inganno dello spread. Perché ciò che in fase REM può nascere come sogno, può diventare incubo al risveglio del mattino. E il debito italiano, in tal senso, ha una lunga letteratura di crisi auto-alimentanti alle sue spalle. Nate così, dalla sera alla mattina. Come certi paradossi che conquistano le prime pagine de Il Sole 24 Ore.
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