LA SENTENZA DELLA CONSULTA SUL CELLULARE AI DETENUTI
Secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, solo il giudice – e dunque non le forze di pubblica sicurezza nelle carceri – può vietare ai detenuti condannati l’uso o il possesso del telefono cellulare. Lo dice la sentenza n.2 del 2023 con redattore Nicolò Zanon, emersa oggi al termine della Camera di Consiglio, in riposta alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di Cassazione e dal Tribunale di Sassari. Nella sentenza con titolo “La misura di prevenzione del divieto di possesso o uso del cellulare può essere disposta solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria”, i giudici della Corte Costituzionale hanno valutato nel dettaglio la questione sul potenziale divieto “orale” degli agenti nelle carceri per quanto riguarda l’uso del cellulare per i detenuti che possano goderne.
«Nei confronti di persone già condannate per delitti non colposi, e abitualmente dedite, per la loro condotta, alla commissione di reati, il questore non può autonomamente disporre la misura di prevenzione consistente nel divieto di possedere o utilizzare telefoni cellulari», si legge nella sentenza numero 2 del nuovo anno. Trattandosi però di un provvedimento che incide e molto sulla libertà di comunicazione, allora l’autorità di pubblica sicurezza può farne proposta ma la decisione unica e finale spetta comunque all’autorità giudiziaria come previsto dall’articolo 15 della Costituzione italiana. Per questo motivo, chiarisce la sentenza della Consulta, «è costituzionalmente illegittima la disposizione del codice delle leggi antimafia nella parte in cui, secondo l’interpretazione della Corte di cassazione, include i telefoni cellulari nella nozione di «apparato di comunicazione radiotrasmittente» di cui il questore può vietare – con l’avviso orale “rafforzato” – il possesso o l’utilizzo».
STOP A DIVIETO ORALE DEGLI AGENTI: ORA COSA SUCCEDE
Viene di fatto vietata la decisione degli agenti di pubblica sicurezza in merito alle decisioni univoche sul cellulare in dote ai detenuti: la sentenza della Corte Costituzionale infatti afferma che le limitazioni relative all’uso del mezzo «non necessariamente si convertono in restrizioni al diritto fondamentale che l’impiego di quel mezzo consenta di soddisfare». Nel caso specifico del telefono cellulare, scrivono i giudici della Corte, «considerata l’universale diffusione attuale di questo strumento, in ogni ambito della vita lavorativa, familiare e personale – «finisce per penetrare all’interno del nucleo essenziale del diritto, determinando evidenti ricadute restrittive sulla libertà tutelata dalla Costituzione». Per questa ragione, come appunto richiede l’articolo 15 della Costituzione, la decisione «non può che spettare all’autorità giudiziaria».
Come spiega il portale “Sistema Penale”, l’avviso orale è una misura di prevenzione affidata alla competenza del questore e «rappresenta la più blanda tra le misure personali contemplate dalla normativa ante delictum. L’avviso orale – introdotto con l. n. 327/1988, in sostituzione della diffida, come presupposto per l’applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, e successivamente “promosso” ad autonoma misura con l’entrata in vigore del codice antimafia nel 2011 – si sostanzia in un potere di richiamo formale da parte dell’autorità amministrativa nei confronti di coloro che abbiano tenuto dei comportamenti antisociali e che diano motivo di ritenere che non muteranno il loro stile di vita». Il Tribunale di Sassari dubitava della legittimità dell’art. 3 co. 4 cod. antimafia, «nella parte in cui consente al solo questore, e non alla autorità giudiziaria, di inibire qualunque mezzo di comunicazione radiotrasmittente, e quindi l’uso del telefono cellulare, quando anche in concreto la misura si possa giustificare per la pericolosità sociale dell’avvisato». Ora la sentenza della Consulta disciplina questi casi stabilendo che spetta solo al giudice la decisione finale.