Forza ragazzi, giù il gettone, altro giro altra corsa. La morte del Papa emerito fa riaccendere i riflettori sul mistero vintage italiano. Riparte la sagra dei tuttologi sulla scomparsa della Vatican girl (docu-serie di Netflix, ndr), Emanuela Orlandi. Una sciarada lunga quarant’anni in un esercizio di simula e dissimula intricato come un romanzo di Dan Brown ma reale e spietato come il “Principe” di Machiavelli. Il sogno di ogni complottista “de noantri”, la realtà che supera la fantasia.
La vicenda inizia quando la quindicenne cittadina vaticana scompare dalla Città Eterna, appunto quasi quarant’anni fa. E abbiamo subito il coinvolgimento di un misterioso quanto inattendibile “Anglofono”. Un uomo mai identificato, che al telefono con la famiglia, fuori di ogni canale istituzionale, farnetica di scambiare la ragazza con l’attentatore del Papa. Qualcuno lo definì un anglosassone, ma poteva essere chiunque; anche romano, anche un prete. Dopotutto, chi sa riconoscere al telefono un anglosassone vero. Di diritto inoltre si coinvolse il Vaticano, impegnato a nascondere chissà quale segreto.
Prende anche quota l’ipotesi che la scomparsa sia in relazione con la morte di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, trovato impiccato sotto il ponte dei Frati neri a Londra il 18 giugno 1982. Il rapimento sarebbe frutto di uno scambio di persona con la figlia di un altro funzionario vaticano collaboratore di Papa Giovanni Paolo II e di mons. Marcinkus, già presidente dello Ior, la banca vaticana.
Nel 1983 a Roma scomparve anche un’altra ragazza, Mirella Gregori; a questo proposito, i “Lupi grigi”, estremisti turchi, affermarono di detenere entrambe le ragazze. Sul punto intervenne Ali Agca in persona, attentatore del Papa Giovanni Paolo II. Il turco affermò che i rapimenti erano stati effettuati dai servizi segreti russi e da quelli bulgari per depistare le indagini sull’attentato al Papa. I fatti sarebbero stati inoltre in correlazione con il rapimento dello scrittore russo Oleg Bitof. Scomparso durante il festival di Venezia del 1983, Bitof ricomparve nel 1984 a Mosca ed accusò del rapimento l’intelligence britannica. Questo pose in dubbio l’attendibilità di Agca, anche perché tra le due ragazze non fu chiarito alcun legame.
Nel 2005 spuntò nella vicenda la Banda della Magliana. Un anonimo chiamò al telefono durante la trasmissione Chi l’ha visto?, sempre fuori di ogni canale istituzionale. L’uomo invitò a controllare le sepolture in Sant’Apollinare, vicino alla scuola di musica di Emanuela. Non riaffiorarono le ossa di Emanuela. Spuntò però lo scheletro di “Renatino” De Pedis, boss della Magliana accoppato a Campo dei fiori nel 1990. Che ci fa un delinque del calibro di Renatino sepolto in una Basilica vaticana? Che rapporto aveva De Pedis con le gerarchie vaticane? Ma soprattutto: perché la sepoltura di Renatino dovrebbe essere collegata con la scomparsa di Emanuela Orlandi?
Nel 2008 il morto De Pedis rientra in ballo attraverso la sua compagna Sabrina Minardi. La donna infatti afferma che la ragazza sarebbe stata rapita da Renatino, consegnata a dei prelati e quindi uccisa. Gli inquirenti indagano ma emergono pochi riscontri. La teste si contraddice e si smentisce. La Minardi viene ritenuta inattendibile e finisce lei stessa sotto indagine.
Nel 2010 si indaga anche su Sergio Virtù, Angelo Cassani e Gianfranco Cerboni, personaggi vicini a De Pedis. Accertamenti estesi anche a mons. Pietro Vergani, rettore della basilica di Sant’Apollinare fino al 1991. Nel 2012 il corpo di De Pedis viene identificato, ma nulla altro emerge dall’esame dei resti nella cripta. Nel 2013 il fotografo Marco Fassoni Accetti afferma che il sequestro della Orlandi sia connesso con trame internazionali contro il Papa di allora. Il teste sarà ritenuto inattendibile anche a seguito di una specifica perizia psichiatrica.
Lungo tutta la linea temporale, in più occasioni Ali Agca è tornato in argomento anche pubblicamente, intrecciando e confondendo la vicenda di Emanuela Orlandi con l’attentato a Giovanni Paolo II. Il turco ha affermato e ritrattato diverse circostanze dei fatti, coinvolgendo e scagionando anche attività di intelligence e gerarchie vaticane. Per questo è stato ritenuto inattendibile dagli inquirenti. Infine, nel 2015, visto che non sono emersi negli anni elementi idonei ad indicare l’effettivo svolgimento dei fatti e le eventuali responsabilità personali, il fascicolo penale viene archiviato senza alcun rinvio a giudizio.
Nel 2017 il giornalista Emiliano Fittipaldi riceve da una fonte vaticana una lettera di trasmissione di una serie di documenti per rendicontare spese inerenti la vicenda di Emanuela Orlandi. L’ultima voce rendicontata parla di trasferimento in Vaticano e spese finali. La veridicità di tale documento non è stata mai provata.
Nel 2018 si indaga su resti umani rinvenuti presso la Nunziatura Apostolica di Roma e si scopre che gli stessi risalgono ad epoca romana. Nel 2019 si indaga su una tomba nel Cimitero teutonico in Vaticano, ma la perizia afferma trattarsi di resti risalenti ad almeno cento anni prima. L’ultimo atto della vicenda risale a qualche giorno fa, quando il promotore di Giustizia vaticano, quasi in coincidenza della morte di Benedetto XVI, ha deciso di riaprire le indagini su Emanuela Orlandi.
Oltre a unirci al desiderio della famiglia di arrivare al chiarimento della storia – nella peggiore delle ipotesi, ma speriamo in meglio, anche solo per avere un luogo dove piangere la sfortunata familiare – noi dobbiamo farci una domanda. Dopo tutti i fatti avvenuti in questi quarant’anni, eventi che hanno legato nel bene e nel male la storia di Emanuela Orlandi a svariate gravi, controverse vicende; fatti che apparentemente non hanno alcun nesso comune, con testimoni che si sono sempre dimostrati inattendibili; ebbene, dopo che il lungo tempo e la centrifuga mediatica hanno versato su Emanuela Orlandi una melma di mistificazione e disinformazione che raramente si è vista nei tempi moderni, se anche gli eccellenti attuali investigatori dovessero trovare il bandolo della matassa di questa storia, come farebbero a riconoscerlo?
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