La decisione sull’invio di nuovi aiuti militari all’Ucraina ha alzato la tensione dentro e fuori la maggioranza di governo: al pari del cosiddetto “caso accise (il rialzo del prezzo della benzina è del resto uno dei molti derivati del prosieguo della guerra russo-ucraina). Non è mancato chi ha puntato il dito contro una – vera o presunta – “ipocrisia” emersa nel centrodestra: che in Parlamento ha votato il decreto ma non senza interventi riflessivi da parte di Lega e FI (la stessa premier Giorgia Meloni, in un’intervista al Tg1, è sembrata meno granitica sulla prospettiva di un conflitto “a oltranza”).
Se tuttavia il tema resta la scelta di campo dell’Italia, appare del tutto forzato e artefatto ogni dubbio sulla fedeltà atlantica del Governo Meloni, alla vigilia di un nuovo summit della coalizione Nato a Ramstein.
In materia di “ipocrisie” sull’Ucraina – semmai – spiccano di più quelle del Pd: che in Senato non ha votato compatto a favore dei nuovi aiuti. Mentre accusano Matteo Salvini o Silvio Berlusconi di incertezze sospette riguardo la “guerra contro Putin”, i “dem” continuano a utilizzare la propria transizione interna come alibi per non esplicitare una posizione sostanzialmente “non allineata” sulla crisi geopolitica: non così lontana dall’aperta opposizione antagonista di M5s, sempre di aroma filorusso e filocinese (lo stesso Romano Prodi, nel medesimo spazio domenicale sul Messaggero in cui nel 2019 lanciò il “ribaltone Ursula”, ieri non ha avuto esitazioni a insistere sull’importante ruolo geopolitico di Pechino).
Un’opposizione “non ipocrita” al decreto ucraino – da parte di una forza socialdemocratica d’opposizione davvero attenta sia alle ragioni della pace, sia a quelle degli italiani più fragili di fronte all’inflazione – avrebbe potuto contestare l’invio di nuovi aiuti militari a Kiev; avrebbe potuto sollecitare il Governo a lanciare/appoggiare iniziative di negoziato internazionale e avrebbe chiesto la rapida cessazione delle sanzioni a Mosca, che sono la vera causa del caro-benzina (non il mancato taglio delle accise: che invece – la Premier lo ha giustamente ricordato .- servono fra l’altro a finanziare il Reddito di cittadinanza). I candidati alla segreteria Pd avrebbero avuto l’occasione di chiarire – anzitutto al loro elettorato cattolico – se la loro bussola è più sensibile a Papa Francesco e alla Cei del cardinale Zuppi oppure al presidente-in-capo Joe Biden. E, non da ultimo, resta da capire se e quanto i “dem” siano compatti dietro la chiara linea occidentalista del “loro” presidente della Repubblica Sergio Mattarella: quando la durata del suo mandato è in oggettiva discussione nell’orizzonte di un riforma semi-presidenzialista.
Se il Governo Meloni sembra alle prese con un polverone più mediatico che politico (e con qualche tensione fisiologica in vista del prossimo voto amministrativo), in difficoltà molto più serie e reali appare il Governo tedesco, guidato dal Cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz. Le prime due settimane del 2023 hanno segnato una continua escalation di pressioni interne e internazionali sulla maggioranza Spd-Verdi-Fdp che da un anno governa il maggior Paese dell’Ue. La questione è sempre il sostegno Nato alla guerra in Ucraina sullo scenario ampio della crisi geopolitica: un terreno sul quale la Germania è fin dapprincipio ondeggiante.
A Capodanno il ministro della Difesa – la socialdemocratica Christine Lambrecht – ha pubblicato un controverso post riferito alla guerra in Ucraina sullo sfondo di fuochi d’artificio. Qualunque sia stata l’origine di un sicuro infortunio comunicativo, l’affaire è montato a tal punto che i media tedeschi nel weekend davano ormai per certe le dimissioni della Lambrecht; non senza notare, però, che questo avverrebbe alla vigilia del vertice Nato in Germania. Al quale Scholz è atteso al varco di un atto concreto di fedeltà atlantica: l’invio di carri armati pesanti a Kiev. Ma è una scelta-escalation che al momento Berlino non ha ancora formalizzato: e l'”incidente Lambrecht” non sembra affatto estraneo al passaggio.
Scholz non ha vinto il voto 2021 – di stretta misura contro Cdu-Csu – per dar man forte a una guerra Nato contro la Russia. Al contrario: Mosca e Berlino si accingevano a far entrare in funzione il gasdotto Nord Stream 2, che avrebbe definitivamente cementato una partnership energetica strategica (sotto l’alta supervisione dell’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder, a capo di Gazprom). Né i Verdi hanno aderito a un’alleanza di governo con Scholz per gestire un’emergenza oil & gas che sta frenando ogni strategia di transizione energetica (non a caso la popolarità del vicecancelliere grun Robert Habeck è in caduta libera e tre giorni fa Greta Thunberg è resuscitata in Germania a una protesta ecologista anti-Verdi). Né i liberaldemocratici sarebbero entrati in un’inedita coalizione con socialdemocratici e Verdi se l’agenda politica avesse imposto di abbandonare il rigore di bilancio per massicci investimenti in armi, oltre ad altrettanto massicci sussidi energetici a famiglie e imprese (come se non bastasse al ministro delle Finanze Christian Lindner, leader Fdp, è giunto in questi giorni uno strano pre-avviso di garanzia per sospetta corruzione). Né un gabinetto a trazione Spd – sostenuto dai potenti sindacati tedeschi – si sarebbe infine mai sognato di mettere in discussione la proiezione strategica dell’Azienda-Germania verso il gigantesco mercato cinese (non a caso uno dei passi più controversi di Scholz è stato un viaggio a Pechino lo scorso novembre, al culmine della crisi-Covid che attanagliava Xi).
Meloni il suo (primo) “momento ucraino” l’ha superato: Scholz invece si accinge ad affrontare il suo vero “momento” sul fronte orientale. In Italia si congettura su possibili futuri aggiustamenti nella maggioranza sul fianco centrale, ma non sulla leadership di Meloni (che ha vinto le elezioni anche sulla fedeltà Nato). In Germania si è a un passo dal congetturare la caduta del gabinetto Scholz – che forse non risparmierebbe lo stesso Cancelliere – e il ritorno a una “grande coalizione” classica (e “atlantica”) fra Spd e Cdu-Csu.
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