Pino Roveredo, lo “scrittore degli ultimi”, è morto nella notte tra venerdì 20 e sabato 21 gennaio 2023. L’autore originario di Trieste aveva 69 anni e combatteva da tempo contro la malattia, ma pare che la sua salute fosse peggiorata rapidamente nel corso dell’ultimo mese, sino a sfociare nel tragico epilogo, tanto che su Facebook il 1° dicembre 2022 scrisse: “Quando i disturbi diventano più forti della speranza e ti rimane solo l’uso del saluto…“. Rimane questo l’ultimo post social dell’uomo, che si trovava ricoverato da qualche giorno presso la struttura sanitaria di Pineta del Carso.
Pino Roveredo ebbe un’infanzia complicata e purtroppo ricca di problemi personali, tanto che aveva provato sulla sua pelle i temi che inseriva nei suoi scritti: carcere, alcol, cura della salute mentale. Come riporta “La Repubblica”,
i suoi genitori erano non udenti e non parlavano. Aveva conquistato la popolarità anche a livello televisivo grazie alla sua presenza all’interno del Maurizio Costanzo Show.
PINO ROVEREDO, COM’È MORTO “LO SCRITTORE DEGLI ULTIMI”?
Vincitore del Premio Campiello 2005 con “Mandami a dire”, Pino Roveredo rilasciò un’intensa intervista a “La Repubblica” in occasione dell’uscita del suo libro “Caracreatura”, edito da Bompiani nel 2007: “Sono l’unico garante regionale delle persone private dalla libertà a essere un ex detenuto. È il mio vanto e se mi arrestano ancora so a chi rivolgermi… Così come sono messe, le carceri sono illegali. Più del 70% di chi esce torna a delinquere, le tossicodipendenze – e penso anche a quelle dei migranti che la miseria spinge nel giro della droga – non sono curate. Ogni detenuto ci costa 150 euro al giorno. Non sarebbe saggio investirli per insegnare ai reclusi cosa fare una volta usciti? Io ci provo”.
Sulla sua infanzia, Pino Roveredo, infine, disse: “Sono cresciuto nel collegio dei poveri di Trieste, a modo suo il primo carcere. I miei genitori, entrambi sordomuti, non potevano provvedere a me. Mi facevano compagnia alla radio le commedie di Edoardo. Non capivo nulla, ma ne assorbivo tempi e musicalità. La mia scrittura ne è sempre rimasta influenzata, anche nel metodo. Non sto mai più di cinque minuti alla scrivania, ho bisogno di urlarmi le parole, di parlarle, sentirle. Solo dopo mi siedo al computer”.