Un nuovo personaggio si è affacciato in questi giorni sulla scena politica italiana. È quello di Matteo Salvini nella veste di pompiere. Dopo le dichiarazioni del guardasigilli Carlo Nordio sulla sudditanza del Parlamento alla magistratura, il leader leghista si è distinto come uno dei ministri più indaffarati a buttare acqua sul fuoco delle polemiche per abbassare la temperatura all’interno della coalizione di governo.
E poiché anche Giorgia Meloni ha vestito i panni del paciere – che poi dovrebbero essere abituali per un presidente del Consiglio -, la parte di giornali, tv e opinione pubblica più giustizialista ha buon gioco nel descrivere un governo diviso e irresoluto su un argomento chiave. Dove un ministro eletto con Fratelli d’Italia e fortemente voluto dalla premier ora sembra trovare i più convinti sostenitori tra gli azzurri di Silvio Berlusconi.
Per i critici più benevoli, Salvini non vuole esasperare le tensioni con le toghe perché, dietro le quinte, starebbe lavorando per portare l’avvocato Fabio Pinelli alla carica di vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Essendo padovano, forse Pinelli è più vicino a Zaia che a Salvini: fatto sta che è appena stato eletto tra i membri laici del Csm in quota Lega, e dopo il forfait obbligato di Giuseppe Valentino (FdI) Pinelli appare tra i favoriti. I più malevoli, invece, lanciano il sospetto che il segretario leghista voglia tenere bassi i toni perché è sotto processo in Sicilia e preferisce quindi toccarla piano. Il risultato è comunque un Salvini intento a smussare spigoli ed evitare scontri con la magistratura perché, a detta del leader leghista, non si può fare una riforma così importante come quella della giustizia contro qualcuno. Una linea condivisa con Giorgia Meloni, che ha confermato la fiducia in Nordio ma al tempo stesso ha fatto capire che su quel terreno minato intende muoversi con i piedi di piombo.
Tuttavia, è fuori luogo dire che la coalizione di governo è lacerata. Il programma di riforma esposto da Nordio in Parlamento è stato approvato con una maggioranza larga, che ha raccolto anche i voti del Terzo polo e della sinistra più garantista. Se una spaccatura c’è, dunque, essa si trova all’opposizione. Deve averne preso atto anche il presidente Mattarella, che è tornato a esprimersi sui temi giudiziari dopo lunghi mesi di silenzio mentre nei corridoi di procure e tribunali succedeva il finimondo, dal caso Palamara a quello Davigo. Ieri il capo dello Stato, alla cerimonia di commiato del vecchio Csm e di presentazione dei neoeletti, ha detto che “l’indipendenza dei magistrati è un pilastro della nostra democrazia e garantita dalla Costituzione”, ammettendo però che quella appena chiusa “è stata una consiliatura complessa, segnata da gravi episodi che l’hanno colpita”.
Nessun giudizio, nemmeno tra le righe, sull’azione del governo ma l’auspicio di “rapporti istituzionali corretti” con la politica. Che sono esattamente i binari sui quali si muove l’esecutivo: nessuna ricerca di scontro. La Meloni e Salvini sanno che non è il momento per aprire nuovi fronti polemici. E che comunque non conviene inimicarsi le componenti più agguerrite della magistratura, con le quali resta necessario trovare punti di dialogo e mediazione.
PS. Solo Berlusconi, difendendo Nordio, ha attaccato i magistrati. Per questo le sue dichiarazioni, più che in disaccordo con gli alleati di governo, appaiono dettate dalla lunga insistenza nel ripetere che avviene ininterrottamente dal ’94.
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