Un vuoto di visione incredibile, quello di Biden e dell’amministrazione Usa. A dirlo è Toni Capuozzo, giornalista e inviato di guerra per quarant’anni, dalle Falkland alla ex Jugoslavia, dall’Iraq all’Afghanistan. Biden ieri ha sentito al telefono i principali alleati Nato: Scholz, Macron, Sunak e Meloni, per ribadire la linea unitaria nel sostegno armato a Kiev. Ma senza minacciare direttamente la Russia, ha dichiarato il presidente americano.
“È curioso come abbiamo dato del pazzo a Putin fino all’altro ieri e non ci accorgiamo di lavorare a un’escalation. Non va inseguita una pace giusta, ma una pace realistica, anche se non ci piace”, spiega Capuozzo.
Ieri la fregata russa Admiral Gorshkov, attualmente nell’Atlantico, ha testato un missile ipersonico Zirkon a distanza di tiro dagli Stati Uniti. Cosa significa?
È un’ovvia risposta alla fornitura di carri Leopard all’Ucraina. Una risposta già preannunciata, perché i russi avevano già detto che avrebbero testato i missili ipersonici. Sono segnali di avvertimento diretti ai Paesi Nato, sempre più coinvolti.
Alla fine la fornitura di carri Leopard ci sarà: Berlino ha approvato l’invio di 14 Leopard, ma solo dopo che Washington ha assicurato 31 carri Abrams.
Non mi sembrano decisioni da generali esperti di guerra sul terreno, piuttosto iniziative politiche. Quante battaglie campali fatte con i tank abbiamo visto dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi? Mi riesce difficile pensare che siano così decisivi sul piano prettamente militare. Sembrano esserlo molto di più i droni.
Secondo il gen. Bertolini, per cambiare le sorti del conflitto ne servirebbero “centinaia”.
Appunto. Questi carri mi sembrano più che altro preliminari alla fornitura di qualcos’altro, di armi più sofisticate. Elicotteri, aerei? Semmai è questo il problema, assistiamo a una partecipazione sempre più pesante.
Cosa ci dice, tirando le somme, il “caso Leopard”?
Nei dubbi di Scholz vedo tutta la riluttanza di una Germania più prudente e restia di altri Paesi nel farsi trascinare nel conflitto.
Dove stiamo andando?
È curioso come abbiamo dato del pazzo a Putin fino all’altro ieri e non ci accorgiamo di lavorare a un’escalation. Finora per noi escalation ha voluto dire fornire Kiev di armi sempre più pesanti, ma per Putin l’escalation cos’è? Perché non ce lo chiediamo?
Secondo te?
Ieri abbiamo saputo di un lancio missilistico. Non mi stupirei se la prossima mossa di Mosca fosse quella di concludere l’operazione speciale dichiarando guerra aperta all’Ucraina. Consentirebbe a Putin di ampliare ulteriormente la mobilitazione e di stringere ulteriormente il controllo sulla Russia. Mandando un segnale chiarissimo.
Anche Jens Stoltenberg ha detto che occorre fornire all’Ucraina armi più pesanti. Qual è l’obiettivo della Nato?
Per saperlo dobbiamo sostituire alla sigla Nato la parola Washington. Io penso che Washington in questo momento non voglia precipitare il conflitto, ma neppure risolverlo. Per ragioni geopolitiche e per disciplinare l’Europa mortificando la sua vitalità economica, gli Usa mi sembrano volere un conflitto pressoché permanente. Non fanno il minimo sforzo per produrre una qualche trattativa, esattamente come stanno attenti a non precipitare le cose.
E l’Ucraina?
È diventata una sorta di compito a casa per l’Europa. Il nemico numero uno degli Usa è la Cina ed è là che sono intenzionati a impiegare i loro veri sforzi.
Torniamo alla Nato e all’Unione Europea.
Si sta compiendo un lento processo, che la guerra in Ucraina ha accelerato, di trasformazione della Nato in qualcosa di molto diverso da ciò che era quando è caduto il Muro di Berlino, vale a dire un’alleanza militare transatlantica nata per proteggere le democrazie occidentali dal comunismo. Man mano che l’Ue è cresciuta come soggetto politico, la Nato ha cercato di capire quale fosse il suo ruolo. Assente in Medio oriente, impiegata in forze nei Balcani e in Afghanistan, ha cooptato i Paesi baltici, arruolato la Polonia e creato di fatto lo scenario che ha preceduto lo scoppio di questa guerra.
E l’Europa?
Non mi pare che gli Usa si siano molto dispiaciuti che la Brexit abbia indebolito politicamente l’Ue. La guerra l’ha indebolita economicamente, pregiudicando i rapporti tra Germania e Russia – pensiamo soltanto a uno dei fatti più oscuri di questa storia, ciò che è successo al Nord Stream 2 – e disciplinandola con la necessità di affrontare un conflitto costosissimo, dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico, delle forniture militari e delle ricadute sociali. Non dobbiamo neppure dimenticare la risposta dell’altra parte.
Vuoi dire la Russia?
È evidente come Mosca cerchi di creare nuovi focolai di tensione per mettere in crisi questa Europa. Penso ai Balcani, al Kosovo, oltre al contagio psicologico della paura. È il tentativo di accendere nuovi punti di crisi, che sarebbero estremamente preoccupanti per una Ue dissanguata.
Sempre a proposito della Russia. Dmitry Vyatkin, deputato della Duma e vicepresidente di Russia Unita, ha proposto di cancellare Arcipelago Gulag di Solzenicyn dai programmi scolastici, perché molti dei fatti narrati “sono inventati” e il testo non ha resistito “alla prova del tempo”.
È la versione russa, nazionalistica, della cancel culture occidentale, cioè l’illusione di ridisegnare le anime dei popoli sulla base della correttezza politica, che dagli Usa all’Ucraina, dall’Europa alla Russia, è qualcosa di diverso. La prima vittima è il passato che non piace. Ci piace solo quello che alimenta il nazionalismo.
Di guerre ne hai viste molte. Cosa ti dice la tua esperienza?
Non ho mai visto finire una guerra nel modo in cui era stata pensata all’inizio. Tranne forse quella delle Falkland. Tutte le volte è sempre successo qualcosa che ha cambiato i piani, di una parte e dell’altra.
Qual è il tuo maggior timore?
Faccio mio quello di Eisenhower, quando disse che l’unica cosa peggiore di una vittoria dell’Unione Sovietica era una sconfitta dell’Unione Sovietica. Uno spazio immenso pieno di etnie, religioni, ideologie, armamenti che nessuno potrebbe permettersi di abbandonare al caos, come la Somalia o la Libia. Ovviamente dovremmo temere anche una sconfitta dell’Ucraina. Sarebbe un buco nero politico e un sostanziale via libera alla Cina per l’invasione di Taiwan.
Eppure la pace al momento sembra impossibile.
Sento parlare qualche politico italiano di “pace giusta”. Ma è un errore dire così. Le trincee delle guerre che si sono consumate nella storia sono piene di paci “giuste”. La pace da perseguire è quella realmente possibile, pragmatica, anche se non ci piace. Meglio una pace insoddisfacente che una guerra permanente.
A proposito di Italia. Fino a trent’anni fa avevamo un ruolo politico di cerniera e di mediazione tra Est e Ovest, a partire dal Mediterraneo. La Meloni è pronta a varare il sesto decreto armi e lunedì ha difeso senza se e senza ma l’allargamento Ue ai Balcani.
Era ovvio che la Meloni sarebbe stata il politico più disciplinato verso i dettami Nato.
Perché?
Il governo che si è dimostrato più obbediente verso la Nato è stato quello di D’Alema. Partecipò fedelmente ai bombardamenti su Belgrado, con tante vittime civili, come accade sempre quando ci sono campagne aeree. Era il prezzo richiesto.
Che cosa intendi dire?
Solo i democristiani e i socialisti si sono potuti permettere di alzare la voce contro la Nato, perché la loro fedeltà di fondo non era in discussione. La sinistra postcomunista invece poteva solo allinearsi in buon ordine, perché era sub judice. Lo stesso vale per la destra meloniana. E la cultura di destra sull’Europa, l’anti-atlantismo, l’anti-imperialismo? Tutto quanto dimenticato.
Che opinione ti sei fatto delle molte dimissioni o destituzioni avvenute nel gruppo dirigente ucraino per corruzione e non solo, basti pensare ad Arestovych, super-consigliere di Zelensky rimosso apparentemente per una dichiarazione?
Bisogna distinguere. Russia e Ucraina fanno a gara a chi è più corrotto, un’altra prova che sono due popoli che si somigliano. Anzi, molto spesso sono proprio i popoli che si somigliano a scavare con più furore le trincee che li dividono. Che ci siano fatti gravi di corruzione non mi stupisce, sarebbe stato sorprendente illudersi che una guerra vissuta come “santa” potesse moralizzare un corpo sociale corrotto. Quella di Arestovych era un’altra partita, in un’intervista di tre anni fa diceva che bisognava arrivare a una guerra contro la Russia. È una lezione da imparare.
Quale lezione?
Pensavamo che la guerra potesse indebolire solo il Cremlino, vediamo invece che i contraccolpi ci sono anche a Kiev e persino a Washington. Non credo che sia del tutto “innocente” il fatto che vengano trovati documenti classificati in casa di Biden. Qualcuno sta pensando a un nuovo candidato democratico.
Biden ieri ha sentito al telefono i principali alleati Nato: Scholz, Macron, Sunak, Meloni. Tutti uniti nel sostegno armato a Kiev. Ma senza minacciare la Russia.
Ecco, è puro continuismo, cioè debolezza di spessore e di leadership. Non troppo, né troppo poco. Una debolezza ormai evidente anche a molti democratici. Si dice a parole di volere restituire all’Ucraina la Crimea e il Donbass, ma nei fatti cosa significa?
Non lo sappiamo, è questo che intendi?
Che nessuno chieda in Europa “ma qual è l’obiettivo vero, preciso, di tutto questo?” si può capire, perché l’Europa è debole ed esegue ordini. Ma che nessuno pretenda di saperlo negli Stati Uniti, mi pare un vuoto di visione incredibile.
(Federico Ferraù)
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