Aleksandr Nikolaevič Skrjabin chi era costui? Ce lo si potrebbe chiedere, tanto rare sono oggi le esecuzioni dei suoi lavori. A Roma, in occasione del cento cinquantenario della sua nascita, a colmare il vuoto ci ha pensato l’Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC) che presenta su due stagioni l’integrale delle sue dieci sonate. Sono stato al concerto del 4 febbraio, dove le sonate n. 2, n. 5, n. 6 e n. 9 sono state eseguite alternandole con études (n.1, n.10, n. 11) di Debussy dalla pianista Mariangela Vaccatello. Sala non piena a ragione sia della poca notorietà di Skrjabin, sia in quanto si temevano disordini, fomentati da anarchici, nella città universitaria. I disordini non ci sono stati, anche perché gli anarchici sono pochissimi e appartengono a un’altra era. Così si è potuto riscoprire Skrjabin. Le “integrali” sono una caratteristica della IUC. Un modo intelligente di proporre compositori, spesso raramente in cartellone.
La figura di Skrjabin (1872-1915) compositore (fu anche un acclamato pianista) si colloca a cavallo fra tardo-romanticismo e sperimentazione novecentesca. Skrjabin, che venne presto influenzato dai lavori di Fryderyk Chopin, compose opere caratterizzate da un idioma fortemente tonale associate a un “primo periodo” della sua produzione. Più tardi nella sua carriera, indipendentemente da Arnold Schönberg, sviluppò un sistema musicale sostanzialmente atonale, o perlomeno molto più dissonante, che si rifaceva al suo personale misticismo. Skrjabin associava i colori con i vari toni armonici della sua scala atonale. È considerato da alcuni essere il più grande compositore simbolista russo.
Skrjabin fu una delle figure più innovatrici e controverse tra i primi compositori moderni. La Grande Enciclopedia Sovietica disse di Skrjabin che “nessun compositore è stato più denigrato e più amato di lui”. Lev Tolstoj descrisse la musica di Skrjabin come “una sincera espressione del genio”. Skrjabin ebbe maggior impatto sulla musica mondiale gradualmente, e influenzò compositori come Sergej Prokof’ev e Nikolaj Roslavets. L’importanza di Skrjabin nella scena musicale prima Russa e poi Sovietica, e internazionale, venne anche associata al fatto che suo zio era Molotov. In effetti, tuttavia, l’inizio del Novecento e gli anni immediatamente successivi alla rivoluzione sovietica furono, in Russia, un periodo di grande sperimentazione e innovazione, a cui venne posta fine con l’assurgere del “realismo socialista” come poetica di Stato.
Con il “realismo socialista” anche la fama di Skrjabin, e l’esecuzione dei suoi lavori, declinò drasticamente nella stessa Unione Sovietica. Nondimeno, le sue idee estetico-musicali furono rivalutate, e le sue dieci sonate per pianoforte pubblicate; presumibilmente fornirono il più consistente contributo al genere dai tempi delle sonate di Beethoven e furono sempre più sostenute dalla critica e dal pubblico.
Proveniva da una famiglia aristocratica. Nonostante le mani piuttosto piccole divenne un pianista affermato. Skrjabin, che era stato in precedenza influenzato dalle teorie superomistiche di Nietzsche, si interessò in seguito anche di teosofia ed entrambe queste scuole influenzarono la sua musica. Skrjabin fu per molti anni membro della Società teosofica e verso la fine della sua vita si avvicinò sempre di più al misticismo. Egli sosteneva, infatti, che un giorno il calore avrebbe distrutto la terra: una teoria sulla quale si basa Vers la flamme (appunto “verso la fiamma”), op. 72, composizione nella quale un calore sempre più spaventoso distrugge ogni sorta di riferimento armonico e tonale.
La teoria poneva in stretta relazione i colori alle note musicali: lui stesso suonava addirittura su una tastiera per luci con i tasti opportunamente colorati di tinte diverse, intrecciando melodie al di fuori del senso comune, lasciandosi trascinare da questo o quel colore e non dalla nota in sé. Poco tempo prima di morire aveva progettato un’opera multimediale che avrebbe dovuto essere eseguita sull’Himalaya: “una grandiosa sintesi religiosa di tutte le arti intesa a proclamare la nascita di un nuovo mondo” e fondere tutte le seduzioni dei sensi (suoni, danze, luci e profumi) e avrebbe dovuto essere “celebrata” in un tempio emisferico.
La musica di Skrjabin si evolve gradualmente lungo tutta la sua esistenza, che relativamente ad altri compositori, è stata rapida e breve. L’evoluzione dello stile di Skrjabin può essere seguita attraverso le sue dieci sonate: le prime sono scritte in uno stile tipicamente tardo-romantico, mentre le più tarde testimoniano la ricerca di un nuovo linguaggio, tanto che le ultime cinque non portano alcuna indicazione di tonalità. Molti passaggi di queste possono essere definiti atonali.
Il concerto ha proposto un’interessante antologia per riscoprire Skrjabin. Inizia con la tardo romantica Sonata n.2 in sol diesis minore op.19: un andante delicatissimo e un presto virtuosistico. Segue L’Isle Joyeuse di Debussy, un brano pieno di ritmo. La prima parte si conclude con la Sonata n. 5 op. 57: è del 1907, in piena transizione verso il suo modo di proporre la scala atonale: un allegro molto rapido, un impetuoso molto teso, e un con stravaganza in cui il brio si fonde con melanconia. Dopo l’intervallo, la seconda parte si apre con la Sonata n. 6 op. 62 del 1911, in piena atonalità (moderé, misterieux, concentré) seguito dai dolci, ma filosofici, études n. 10 e n. 11 di Debussy. Termina con la sonata n. 9 Messa nera del 1913: un solo tempo – moderato quasi andante – un vero capolavoro di atmosfera dark, scura, che attanaglia l’ascoltare dal primo all’ultimo istante.
La pianista Mariangela Vacatello ha suonato a memoria, Da oltre vent’anni ha una carriera internazionale ed insegna al Conservatorio di Perugia. Pubblica con Brilliant Classics. Alla richiesta di bis, ha risposto con due brevi brani di Skrjabin.
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