A parte la questione ucraina, la politica estera americana sta rivolgendo la propria attenzione a due scenari altrettanto rilevanti per la sua egemonia livello globale e cioè i suoi rapporti con Israele e la sua proiezione di potenza in Artico in funzione antirussa e anticinese.
Iniziamo dai rapporti bilaterali tra Israele e Stati Uniti.
A metà gennaio la visita del consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan insieme al consigliere per il Medio oriente Brett McGurk e dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele Tom Nides ha avuto come scopo quello di incontrare il direttore del Mossad David Barnea e il nuovo consigliere per la Sicurezza nazionale israeliano Tzachi Henegbi.
L’incontro è stato voluto dai numerosi gruppi di pressione israeliani ma anche da autorevoli esponenti del Congresso americano per rivalutare le relazioni degli Stati Uniti con Israele. A tale proposito un autorevole rappresentante del Congresso e cioè David Cicilline ha detto di essere “profondamente preoccupato” per la nuova coalizione di governo israeliana, mentre il democratico californiano Brad Sherman, che è stato a lungo un solido sostenitore di Israele, ha detto che c’è stata una “erosione” del sostegno di Washington a Tel Aviv.
Ma anche gli stessi gruppi di pressione pro-israeliani hanno avuto modo di far comprendere molto chiaramente le loro preoccupazioni sugli attuali orientamenti della politica israeliana all’ambasciatore israeliano negli Usa e cioè Michael Herzog. Stiamo alludendo in particolare alle federazioni ebraiche del Nord America e al forum politico israeliano. L’attuale premier israeliano Netanyahu è ovviamente consapevole di queste preoccupazioni e farà di tutto per rassicurare gli amici americani. Non a caso ha ricevuto una delegazione del comitato ebraico americano alla Knesset il 26 gennaio.
A parte le legittime preoccupazioni americane nel contesto della politica estera, la cooperazione in ambito militare prosegue, come è agevolmente dimostrabile dalla esercitazione militare denominata Jupiter Oak del 23 gennaio, pianificata quando Yair Lapid era primo ministro. Questa esercitazione ha coinvolto più di mille soldati israeliani e 6.500 americani. Lo scopo è stato quello di provare l’efficienza della interoperabilità tra israeliani e americani nella guerra elettronica. Questa integrazione è perfettamente riuscita, come ha sottolineato il comandante del Centcom Eric Kurilla.
Passiamo adesso alla questione artica. Il dipartimento di Difesa americano sta lavorando ad una bozza di strategia artica e uno degli uomini chiave di questa nuova strategia è il vicepresidente del Joint Chiefs of Staff, l’ammiraglio della marina Christopher Grady. La presenza di un così autorevole esponente del Pentagono americano e in modo particolare della marina americana dimostra come l’attuale amministrazione Biden non stia trascurando l’importanza dell’Artico nonostante la guerra con l’Ucraina.
Lo scopo è quello di elaborare chiaramente la strategia ufficiale della Difesa Usa e quindi coordinare le forze militari americane in modo da contenere la politica di proiezione di potenza sia russa che cinese. Non dimentichiamoci che la dottrina americana è incentrata sulla deterrenza strategica nucleare e sulla libertà di navigazione. Il documento che verrà elaborato dal dipartimento della Difesa dovrebbe essere coerente con quello già pubblicato dal Department of Homeland Security (Dhs) che ha pubblicato il proprio approccio strategico nel gennaio 2021. In linea di massima non dobbiamo dimenticare che gli Stati uniti – e in particolare il Pentagono – hanno pubblicato l’ultimo documento sull’Artico nel 2019. Soltanto alcune istituzioni sia militari che civili – e cioè l’Air Force e la guardia costiera – hanno aggiornato i loro documenti strategici sull’Artico.
Ad ogni modo la rinnovata rilevanza attribuita dall’amministrazione Biden all’Artico è dimostrato dal fatto che la centralità di questa tematica geopolitica è oggetto della riflessione sia del segretario di Stato Antony Blinken che dello stesso segretario alla Difesa Lloyd Austin.
Ritornando al ruolo che il Pentagono dovrà rivestire nell’elaborazione di una rinnovata strategia in campo artico è necessario sottolineare come questo abbia istituito un Arctic Strategy and Global Resilience Office a settembre coordinato da Iris Ferguson, un funzionario di carriera che in precedenza ha redatto la strategia dell’Air Force. Affinché questo documento possa raggiungere la sua piena efficienza, l’utilizzo delle immagini satellitari e dei big data mining è fondamentale.
Ma esistono altre istituzioni che sono state coinvolte dal Pentagono nell’elaborazione di questa strategia e cioè la National Nuclear Security Administration, un’agenzia semiautonoma del Dipartimento dell’Energia (Doe), che coordina il Los Alamos National Laboratory, i Sandia National Laboratories e il Lawrence Livermore National Laboratory .
L’aumento dell’impegno degli Stati Uniti nell’Artico coincide con quello della Nato. A tale proposito non dobbiamo dimenticare che l’Artico è stato oggetto di dibattito all’interno della Nato. Non a caso il Regno Unito ha fatto di tutto per coinvolgere maggiormente la Nato, ma queste pressioni sono state in parte ridimensionate sia dal Canada sia dalla neutralità politica della Svezia e la Finlandia. Ma con la guerra in Ucraina, la possibilità che Svezia e Finlandia possano presto aderire alla Nato non potrà che determinare un riorientamento della stessa alleanza. D’altra parte il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg aveva già affrontato l’argomento in pubblico ad agosto.
Le preoccupazioni da parte degli Stati Uniti in prima battuta e della Nato in seconda battuta hanno certamente un fondamento oggettivo, dal momento che la Russia ha reso sempre più efficiente i suoi sistemi sia difensivi che offensivi nell’Artico anche se il suo attuale coinvolgimento in Ucraina ha di fatto ridimensionato il suo impegno in questa regione. Infatti le sue due principali brigate artiche, l’80esima brigata e la 200esima sono state entrambe chiamate a partecipare in Ucraina.
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