A chi si occupa da anni del valore nutrizionale, medico e farmacologico dell’uva e dei suoi alimenti derivati – il vino in primo luogo – può sembrare superfluo, se non assurdo, doverne sottolineare l’importanza in ambito nutraceutico. Soprattutto se si considera che una mole imponente di studi scientifici – più di 235mila come ricordato di recente dal prof. Giorgio Calabrese, presidente del Comitato nazionale per la sicurezza alimentare – attesta in modo inequivocabile la salubrità e il valore medico di questi prodotti, al netto di pochi ed isolati risultati controversi.
Ricordiamo che il vino è un “alimento energetico complementare”, annoverato tra i nutraceutici, ovvero quegli alimenti particolarmente ricchi in composti che esplicano un’azione farmacologica, e la cui assunzione produce un effetto terapeutico indipendente dal valore nutrizionale strictu sensu.
Il vino è “energetico”, in quanto contiene sostanze organiche alimentari in grado di fornire calorie; “complementare” perché concorre a soddisfare le esigenze strutturali e metaboliche del nostro organismo. La sua composizione è complessa, contenendo acqua (tra l’80 e l’85% del totale), una miscela di alcoli (etilico, metilico, glicerolo), acidi, zuccheri, polifenoli, flavonoidi, stilbeni, sostanze minerali (potassio, calcio, magnesio) e vitamine.
Un alimento complesso, assorbito da un organismo complesso, genera effetti a loro volta complessi che oggi, alla luce dei progressi conseguiti nella scienza della complessità (in specie grazie ai contributi della termodinamica del non equilibrio e della self-organization theory), non possono e non devono più essere studiati tramite un approccio semplificato, di tipo riduzionistico.
I nutrienti esplicano azioni biologiche sia per il tramite di interazioni individuali, sia interagendo con complicate cascate metaboliche. Collettivamente queste azioni portano a conseguenze non prevedibili in base ad una logica lineare e, in relazione ai diversi contesti ambientali e cellulari, possono innescare sinergie, amplificazioni e conseguenze paradossali. Per questo motivo si usa ricordare come “il tutto è più della somma delle parti”.
Di conseguenza, gli studi epidemiologici cosiddetti univariati – quelli che mettono a confronto un singolo componente con l’esito finale (malattia, guarigione, suscettibilità alle malattie) sono inadeguati a rendere conto della complessità delle interazioni reali e presentano non di rado “difetti” metodologici, portando a conclusioni incoerenti o nulle.
La complessità delle interazioni spiega inoltre perché gli effetti “nocivi” di un componente possano efficacemente essere annullati dalla presenza di altre molecole, o ancora come le sinergie tra due o più sostanze possa produrre effetti non preventivabili quando le stesse molecole vengono analizzate singolarmente. Il concetto di sinergia applicato agli alimenti ha impresso una svolta critica nella scienza della nutrizione e costituisce oggi il fondamento su cui costruire politiche nutrizionali razionali e ripensare la stessa ricerca in ambito alimentare.
Per questo è alquanto banale – per non dire imbarazzante – dover ricordare a qualche commentatore estemporaneo digiuno della materia che il vino non può essere ridotto alla sola componente alcolica.
Le procianidine del professor Masquelier
Paradossalmente, i primi studi scientifici sul valore nutraceutico e l’impiego farmacologico dell’uva da tavola hanno preso il via dall’analisi delle arachidi. Nel 1947, Jacques Masquelier, della facoltà di medicina dell’Università di Bordeaux, isolò per la prima volta le procianidine dalla pellicola rossa delle arachidi. Masquelier sperimentò all’istante il nuovo estratto, somministrandolo alla moglie del proprio preside di facoltà, da tempo affetta da gravi tromboflebiti gravidiche che le impedivano di deambulare.
Il preparato risolse i problemi della donna in sole quarantotto ore. Altre “miracolose” guarigioni seguirono ben presto, tanto che, dai primi anni 50 del secolo scorso, l’estratto di Masquelier fu adottato come trattamento di prima scelta contro la fragilità capillare e fu commercializzato in Francia con il nome di Resivit.
Masquelier aveva nel frattempo scoperto che i principi attivi del preparato potevano essere ottenuti più facilmente e in maggiore quantità anche dal pino marittimo e, soprattutto, dai semi d’uva e dal vino. Il nuovo prodotto – ribattezzato nel 1979 Pycnogenol – è oggi ottenuto proprio dall’uva. Questo risultato non era propriamente frutto del caso. Masquelier aveva letto con grande attenzione il diario dell’esploratore Jacques Cartier che, con il suo equipaggio, era rimasto imprigionato per mesi tra i ghiacci del fiume San Lorenzo, a sud di Québec.
Affamati e decimati dallo scorbuto (una grave malattia dovuta alla carenza di vitamina C), Cartier e i suoi uomini si erano nondimeno potuti salvare grazie ai consigli di un nativo americano che aveva loro fornito arachidi, bacche e aghi di pino. Masquelier era convinto che nelle bacche fosse presente vitamina C, o un qualche altro composto dotato, al pari dell’acido ascorbico, di un’elevata attività antiossidante.
I risultati dei suoi studi consentirono invece di identificare un insieme di nuove molecole, appartenenti alla classe dei bioflavonoidi, oggi collettivamente conosciuti come procianidine, polimeri di unità monomeriche rappresentate da catechine ed epicatechine. Ed è a queste sostanze – unitamente ad altre successivamente individuate, come gli stilbeni, i flavonoli, gli acidi fenolici – che vanno ascritti i benefici dell’uva e del vino.
Un po’ di storia
L’uva da tavola era considerata, già da Ippocrate, un “alimento completo e nutriente” e come tale ritenuto utile nel coadiuvare il trattamento di diverse affezioni. Nel Medioevo il consumo di uva e vino era raccomandato dalla Scuola medica salernitana che, nel Flos Medicinae (Regimen sanitatis Salerni, XIII sec.), lo indica a scopo drenante e depurativo.
Nel Medioevo preparati a base di uva e di aghi di pino venivano utilizzati come antinfiammatori. A quell’epoca, i Tacquina sanitatis – piccole farmacopee popolari di uso comune – accordavano molta importanza ai preparati ottenuti dai frutti e dal vino ottenuto dalla Vitis vinifera silvestris, un’uva selvatica apprezzata già dai tempi di Plinio il Vecchio e il cui uso emolliente e drenante è riportato anche in Dioscoride. Il grande naturalista Hieronymus Bock – a cui dobbiamo lo studio e l’attribuzione del nome Riesling all’omonima varietà di uva – nel suo Kreuterbuch (Libro delle Piante) ne consiglia l’applicazione topica per il trattamento delle ulcere cutanee e, più in generale, per il trattamento delle affezioni dermatologiche.
Una “riscoperta” delle virtù medicamentose di uva e vino comincerà però solo ai primi del Novecento. In quegli anni l’Europa vede la nascita di dozzine di centri che praticano la cosiddetta terapia dell’uva (ampeloterapia), caldeggiata anche in America grazie al volume di Solomon Cohen (System of Physiological Treatment). Le caratteristiche antinfiammatorie, diuretiche e drenanti dell’uva e del vino, unitamente alla sperimentata proprietà curativa dimostrata contro lo scorbuto, avrebbero poco più tardi permesso ad Albert Szent-Gyorgyi – premio Nobel nel 1937 per la scoperta della vitamina C – di capire che gli estratti di alcuni frutti e foglie (uva e pino) condividevano proprietà antiossidanti proprie dell’acido ascorbico.
Composizione dell’uva e del vino
Nel corso degli ultimi anni lo studio analitico delle bacche (acini) dell’uva e del vino si è avvalso di tecniche sofisticate, come la spettrometria di massa in associazione alla cromatografia liquida, che hanno permesso di approfondire le nostre conoscenze sulla complessa costituzione del frutto della vitis vinifera.
La polpa e la buccia differiscono considerevolmente dal seme (o vinacciolo); nelle prime due, oltre a sali minerali, zuccheri, vitamine e proteine (presenti solo in tracce), sono rappresentate tre principali classi di sostanze: acidi fenolici, stilbeni (resveratrolo) e flavonoidi (bioflavonoidi) (Fig.1). Questi ultimi comprendono flavan-3-oli, flavonoli e antociani coniugati.
Nei semi sono essenzialmente presenti fibre, proteine, grassi e flavan-3-oli. I flavan-3-oli, che insieme al resveratrolo, hanno suscitato grande interesse nel corso degli ultimi anni, comprendono le catechine, le epigallocatechine e i prodotti della loro polimerizzazione (procianidine), conosciuti anche come tannini condensati. Le epigallocatechine e le procianidine possono presentarsi in associazione all’acido gallico, una molecola che conferisce al composto molte interessanti proprietà terapeutiche.
Le concentrazioni dei singoli costituenti variano grandemente in relazione alla cultivar, alle condizioni agronomiche di coltivazione, alle modalità di conservazione del frutto e sono generalmente più rappresentati nell’uva e nel vino rosso.
Antociani
Gli antociani coniugati sono un gruppo di composti poliaromatici e poli-idrossilati selettivamente prodotti dalla pianta in risposta a prolungata esposizione alla luce solare. Sono in grado di assicurare una buona protezione dalle radiazioni ionizzanti grazie alle loro proprietà antiossidanti, sfruttate in ambito medico per contrastare gli effetti nocivi dei radicali liberi sui vasi sanguigni e più in generale per contrastare i processi correlati all’invecchiamento e all’insorgenza del cancro. I radicali liberi sono stati messi in relazione a numerosi processi patologici degenerativi, dall’artrite alle malattie cardiache, al cancro. I grassi, e in particolare il colesterolo, sono particolarmente sensibili al danno arrecato dai radicali liberi, formando, in seguito a ossidazione, perossidi ed epossidi. Gli effetti antiossidanti degli estratti di uva e del vino furono scoperti, ancora una volta, da Masquelier nel 1986.
Fig.1. Principali classi di composti farmacologicamente attivi presenti nell’uva e nel vino
Stilbeni e resveratrolo
Gli stilbeni comprendono diverse molecole di grande interesse biologico e medico, tra cui le viniferine e il resveratrolo. Quest’ultimo, presente in significative concentrazioni nella buccia degli acini e nel vino rosso, ha suscitato un grande interesse nel corso dell’ultimo decennio in relazione alle molteplici possibilità di impiego farmacologico.
Il resveratrolo è innanzitutto una fitoalessina, ossia un antimicrobico naturale prodotto dalla pianta in risposta a uno stress o a un’infezione batterica; ha proprietà ipoglicemizzanti, antinfiammatorie, antiaggreganti e anti-aterosclerotiche. La sinergia tra gli effetti normalizzatori sui livelli glicemici e quelli protettivi esplicati sulla rete vascolare rende ragione del cosiddetto “paradosso francese” attribuito all’elevato consumo di vino rosso da parte della popolazione delle regioni meridionali (Le Midi) della Francia.
Il paradosso consiste nel fatto che, a dispetto della dieta seguita dalle popolazioni locali (caratterizzata da elevate quantità di grassi e proteine animali, scarsa assunzione di vegetali freschi), sovrapponibile a quella adottata da buona parte degli abitanti degli Stati Uniti, l’incidenza di patologie cardiache è assai bassa. Infatti, contrariamente agli americani, i francesi presentano un’incidenza di malattie cardiocircolatorie e di patologie dismetaboliche (obesità, diabete, insufficienze epato-pancreatiche) di gran lunga inferiore. Questa diversa suscettibilità è stata da sempre attribuita all’elevato consumo di vino rosso che, come noto, presenta elevate concentrazioni di stilbeni.
Oggi, l’azione benefica della bevanda di Bacco viene ascritta alla presenza in essa del resveratrolo e dei suoi derivati. Tali risultati sono stati oggetto di accese controversie, alimentate da motivi diversi e non sempre attinenti l’ambito scientifico, ma comunque basate sul fatto che la biodisponibilità del resveratrolo, cioè la quota che viene a essere assorbita, sia con il vino sia con l’uva da tavola, è alquanto bassa.
Questo dato lascia presumere che, a meno di assumere quantità sproporzionate dell’alimento, sia difficile ottenere livelli circolanti degli stilbeni tali da esplicare una significativa azione farmacologica. Cionondimeno, l’efficacia terapeutica del resveratrolo nel trattamento delle patologie cardiovascolari ha ricevuto autorevoli conferme dagli studi clinici, indicando come l’assorbimento della molecola possa variare in relazione a fattori finora non sufficientemente apprezzati e conosciuti.
È ampiamente attestato come gli individui che bevono vino in quantità moderata (1-3 bicchieri al dì) vedono ridursi il rischio di morte per malattie cardiache di circa il 40%. I risultati di numerosi studi epidemiologici, caso-controllo e prospettici sono risultati tanto convincenti dallo spingere il Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti a raccomandare un consumo moderato di alcol nella sua iniziativa nazionale per la promozione della salute e la prevenzione delle malattie (Healthy People 2010).
Per quanto riguarda le patologie tumorali, un’abbondante messe di ricerche, portate a termine soprattutto negli ultimi quindici anni, ha permesso di evidenziare la potenziale capacità del resveratrolo di interferire su tutti gli stadi della cancerogenesi e di sopprimere nei topi l’insorgenza di neoplasie spontanee o indotte chimicamente.
Procianidine, flavonoli, flavan-3-oli ed acidi fenolici
Molti studi hanno evidenziato come gli estratti del seme di uva (comprendenti prevalentemente procianidine ed epigallocatechine-3-gallate) inibiscono la crescita di diversi tipi di tumore. Studi realizzati sia in vitro (sulle colture cellulari) sia in vivo (sugli animali da laboratorio), hanno dimostrato che queste molecole bloccano la replicazione dei tumori prostatici, della mammella e del colon. All’inibizione della crescita si accompagna l’induzione dell’apoptosi (morte cellulare programmata).
Tra i diversi tipi di acido fenolico rinvenuti nell’acino dell’uva da tavola, un ruolo rilevante è sostenuto dall’acido gallico che si lega sia all’epigallocatechina sia alle procianidine. L’acido gallico esplica di per sé un’azione pro-apoptotica, favorente cioè i processi che innescano la cascata di reazioni che portano a morte la cellula tumorale.
I flavonoli si localizzano invece soprattutto nella buccia dell’acino e comprendono prevalentemente quercetina e miristeina. La prima è stata estensivamente studiata e, al pari di altre molecole della grande famiglia dei bioflavonoidi, presenta elevate capacità antiossidanti. Oltre a queste, la quercetina ha mostrato di poter modulare l’espressione di numerosi geni coinvolti nella regolazione della risposta immunitaria e infiammatoria. Il flavonoide contribuisce altresì a regolare la crescita cellulare e, da questo punto di vista, ha dimostrato di inibire significativamente la crescita di numerosi tipi di tumore.
Nel gruppo dei flavan-3-oli ritroviamo alcune tra le più importanti classi di composti che conferiscono all’uva ed al vino molte delle proprietà farmacologiche prima ricordate. Nel seme si concentrano elevate quantità di catechine, epicatechine, e, soprattutto, procianidine (polimeri ottenuti dall’aggregazione sequenziale di residui di catechine) ed epigallocatechine, queste ultime variamente associate all’acido gallico (epigallocatechina-3-gallata).
Con l’esclusione dei monomeri, caratterizzati da bassa attività biologica, tutte le altre molecole hanno mostrato esplicare numerosi e importanti effetti terapeutici, documentati sia in laboratorio sia sull’animale da esperimento. Come il resveratrolo, anche le epigallocatechine e le procianidine esercitano importanti e benefici effetti sul sistema cardiocircolatorio, riducendo l’apposizione della placca ateromasica ed inibendo l’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL) che trasportano colesterolo.
Inoltre, le procianidine riducono l’aggregazione piastrinica, la pressione arteriosa e proteggono le cellule endoteliali dei vasi sanguigni modulando i fenomeni infiammatori e attenuando i processi di degenerazione e di invecchiamento cellulare.
Collettivamente queste azioni si traducono in un deciso e significativo contrasto al processo noto come aterosclerosi che rappresenta il meccanismo principalmente responsabile della elevata incidenza di malattie cardiocircolatorie le quali, a tutt’oggi, costituiscono la prima causa di morte nelle nazioni industrializzate. Inoltre, i flavan-3-oli esplicano un’attività chemiopreventiva sulla comparsa e lo sviluppo di numerosi tipi di tumori.
Questi risultati sono stati ottenuti sull’animale da esperimento, esposto a sostanze cancerogene, a cui venivano contemporaneamente somministrate miscele di epigallocatechine e procianidine. Gli studi hanno potuto evidenziare come il trattamento con i bioflavonoidi prevenga e/o riduca in modo rilevante la probabilità di comparsa del tumore.
I dati epidemiologici
Gli effetti benefici di basse e moderate dosi di alcol sull’insorgenza di malattie cardiovascolari sono stati dimostrati in molti studi di popolazione e meta-analisi. L’analisi complessiva indica chiaramente che il vino differisce nettamente da altre bevande alcoliche, dato che il consumo moderato non solo non aumenta il rischio di malattie croniche degenerative, ma è associato a benefici per la salute, in particolare se incluso in un modello di dieta mediterranea.
Il vino riduce il rischio e la mortalità per malattia cardiovascolare. La possibilità dell’effetto protettivo di piccole e moderate dosi di alcol sulle malattie cardiovascolari è significativa dal punto di vista della salute pubblica. In tutto il mondo le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte, quindi anche una minima riduzione del loro rischio relativo può tradursi in termini assoluti in un numero significativamente inferiore di incidenza e morte per malattie cardiovascolari. Il consumo moderato di vita contrasta l’aterosclerosi e riduce l’aggregazione piastrinica e la pressione arteriosa, proteggendo le cellule endoteliali dei vasi sanguigni.
Il vino riduce il rischio e la mortalità per malattia oncologica. Il consumo moderato di vino (1-3 bicchieri di vino/die) ha dimostrato in numerosi studi epidemiologici di ridurre significativamente l’incidenza e la mortalità per numerosi tipi di cancro. In particolare, i tumori della tiroide, del colon, della prostata e del polmone sono risultati essere ridotti nei bevitori moderati.
È soprattutto rilevante che, nei forti fumatori, l’assunzione moderata di vino si sia accompagnata ad una fortissima riduzione del rischio di cancro polmonare (-60%!), dimostrando come i componenti del vino possano “attivamente” neutralizzare l’azione delle sostanze cancerogene. A riprova che tale effetto sia specifico del vino – e riconducibile quindi ai suoi componenti in stilbeni e polifenoli – c’è l’evidenza epidemiologica che mostra come analogo beneficio sia assente quando si prendono in considerazione altri alcolici, tra cui la birra: solo il vino assicura una significativa riduzione del rischio (Fig. 2).
Fig. 2. Correlazione dose-risposta tra assunzione di birra o di vino e rischio relativo di cancro (cfr. riferimento #8)
Il vino e l’uva non hanno solo valore in ambito preventivo (riduzione del rischio), ma hanno attratto attenzione anche per la loro utilità in ambito terapeutico, in associazione ai trattamenti convenzionali anti-tumorali. Nel corso degli ultimi anni, originali e promettenti ricerche hanno dischiuso nuovi e inaspettati orizzonti, lasciando prevedere un possibile utilizzo terapeutico delle sostanze estratte dai semi dell’uva da tavola e rappresentate nel vino (ancorché in concentrazioni estremamente variabili in relazione al tipo di uva, l’area di provenienza e i processi produttivi).
Sia le procianidine sia le epigallocatechine contengono, infatti, il gruppo galloilico che, sulla base di studi recenti, sembra conferire ai composti la peculiare capacità di inibire la crescita delle cellule tumorali e di attivarne contemporaneamente la morte cellulare programmata (apoptosi).
Studi condotti presso il laboratorio di Systems Biology Group Lab (Università La Sapienza), in collaborazione con il CRA (Istituto sperimentale per la viticoltura) di Turi, presso Bari, hanno permesso di evidenziare come estratti di procianidine ed epigallocatechine (GSE) ottenuti da diversi tipi di uva portano a morte le cellule tumorali del colon e della mammella. Questo effetto è dose-dipendente, e per concentrazioni di GSE pari a 100 μg/ml si riesce a conseguire un blocco totale della proliferazione con un tasso di mortalità a 24 ore pari a circa il 90%.
Effetti inaspettati. Il vino ha mostrato di esplicare altre, insospettabili azioni benefiche nei pazienti affetti da diabete, malattia metabolica, affezioni urinarie. Il consumo moderato riduce inoltre il rischio di demenza, di Alzheimer e migliora la connettività delle reti neurali e l’efficienza complessiva dei processi cognitivi. La capacità funzionale del cervello si misura infatti in termini di complessità delle reti neurali, e non in termini di grandezza e volume dell’encefalo. Nel caso contrario dovremmo convenire che gli elefanti dovrebbero essere di gran lunga più intelligenti degli uomini, date le dimensioni del loro cervello! E peraltro, lo studio che aveva suggerito come il consumo di alcol fosse associato a ridotte dimensioni del sistema nervoso, è stato ampiamente criticato perché non considerava che le ridotte dimensioni potessero pre-esistere al consumo di alcol, mentre altri reports hanno messo in evidenza come alterazioni genetiche cerebrali fossero precedenti nei pazienti in cui – solo successivamente – l’iperconsumo di vino/alcol era stato correlato alle dimensioni dell’encefalo.
Conclusioni
Questi risultati aggiungono un ulteriore tassello al quadro complessivo che riconosce l’uva e il vino quali prodotti dotati di proprietà farmacologiche e terapeutiche diversificate e complesse. Nel panorama offerto dai prodotti nutraceutici, uva e vino presentano infatti caratteristiche uniche, le cui potenzialità, nell’ambito della prevenzione e della terapia di importanti malattie – come i tumori e le affezioni cardiovascolari – vengono a essere sempre più apprezzate di pari passo con la comprensione dei meccanismi che sottendono tali effetti.
Probabilmente, nel prossimo futuro, avremo veri e propri farmaci comprendenti molti dei principi attivi racchiusi nell’acino dell’uva. Tuttavia, già da adesso, nessuno ci impedisce di approfittare della bontà e delle opportunità preventive offerte dal frutto di una pianta il cui nome – non a caso – rievoca inequivocabilmente il bene prezioso della “vita”.
A riprova della salubrità del bere vino con moderazione, le linee guida per l’alimentazione (2020-2025) del Dipartimento della Salute degli Usa stimano che uno-due bicchieri di vino al giorno (per femmine e maschi rispettivamente) sia assolutamente compatibile con uno stile di vita salubre. E questo con buona pace dei pochi che si affannano a denunciare “i rischi dell’alcol”, dimenticando che il vino è qualcosa di più e di diverso.
Le recenti polemiche mostrano quanta prudenza occorra nel comunicare dati parziali e discutibili, soprattutto se a farlo sono personaggi noti più per le loro comparsate televisive che non per i contributi scientifici che hanno offerto nello specifico settore.
Inoltre, pensare alla funzione alimentare del vino in termini puramente dietologici è fuorviante. Per secoli il ruolo svolto da questa bevanda nell’alimentazione, delle popolazioni latine in particolare, è stato molto più importante di quanto significhino quei valori energetici: il vino è un elemento insostituibile della nostra cultura, della nostra economia, della ritualità sociale e del simbolismo religioso.
E forse proprio per questo è oggetto di una guerra che assume chiari contorni ideologici. Quindi, per concludere, cosa di meglio che ricordare le parole di Plinio il Vecchio? “Occorre parlare del vino con la serietà che conviene ad un Romano quando questi tratta delle arti e delle scienze. Non come medici, ma come giudici incaricati di pronunciarsi sulla salute e sulla morale dell’umanità”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.