L’Europa interviene in maniera significativa nel dibattito politico italiano aprendo una procedura d’infrazione. Lo fa, peraltro, su un tema centrale della scorsa campagna elettorale e divisivo in parte anche all’interno delle coalizioni e dei partiti, almeno a sinistra, quale il Reddito di cittadinanza.
La Commissione europea sostiene, fondamentalmente, che tale misura non sia in linea con il diritto dell’Ue in materia di libera circolazione dei lavoratori, diritti dei cittadini, residenti e protezione internazionale dal momento che può discriminare gli altri lavoratori europei. Secondo Bruxelles, infatti, le prestazioni di “assistenza sociale”, come appunto il Reddito di cittadinanza, dovrebbero essere pienamente accessibili a tutti i cittadini dell’Unione sia che siano lavoratori subordinati, autonomi o che abbiano perso il lavoro, indipendentemente dalla loro storia di residenza in un qualsiasi Paese membro. La misura dovrebbe essere, anzi, secondo Bruxelles, ulteriormente allargata rendendola accessibile a tutti i cittadini comunitari, che non lavorano con la sola condizione “residuale” che risiedano legalmente in Italia da almeno tre mesi, e ai soggiornanti di lungo periodo.
In questa prospettiva, quindi, il requisito, indubbiamente restrittivo, attualmente previsto dalla normativa del Rdc, relativo alla residenza in Italia da almeno 10 anni, si qualificherebbe come una “discriminazione indiretta”. Sempre secondo la Commissione, il modello italiano del Rdc discriminerebbe, altresì, direttamente i beneficiari di protezione internazionale, che non possono, a normativa vigente, beneficiare della misura di sostegno. In questo quadro il nostro Paese avrà, adesso, due mesi per rispondere alle segnalazioni avanzate dalla Commissione.
Toccherà, insomma, per assurdo, alla forza politica che più si è opposta in questi anni al Reddito di cittadinanza, almeno nella sua versione grillina, difenderlo? Il “richiamo” europeo potrebbe diventare, altresì, un ulteriore stimolo per ridefinire la misura, come peraltro già iniziato a fare e programmato per il 2024, in modalità “sovranista” e accelerare la sua riforma? Potrebbe, in questo quadro, l’indicazione della Commissione scombinare i piani del Governo Meloni?
Nelle prossime settimane vedremo, insomma, come si muoverà, quali scelte metterà in campo e quale sarà la risposta “da destra” al grande tema, sempre più rilevante, delle povertà, delle disuguaglianze e del rischio di esclusione sociale presente nella nostra “nazione”.
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